mercoledì 30 gennaio 2013

112: il numero unico di emergenza dell'Unione europea

Non siamo in molti a saperlo (anche io l'ho saputo soltanto ieri), e quindi ora lo posto qui in modo che chiunque lo legga possa a sua volta passar parola. Non che non si trovi questa notizia eh?! ma solo cercandola di proposito! E se non si sa... non si cerca, ovviamente! E invece dobbiamo "spingere" affinché venga istituito anche in Italia:

11 febbraio 2009

A partire da dicembre 2008, i cittadini  dell'Unione europea possono contattare i servizi di emergenza da qualsiasi località dell'UE chiamando gratuitamente il 112, il numero unico di emergenza, sia da telefoni fissi che da cellulari. Solo un europeo su quattro è tuttavia a conoscenza del fatto che questo numero salva-vita esiste in altri Stati membri e quasi tre persone su dieci tra quelle che hanno chiamato il 112 in altri paesi hanno avuto problemi linguistici.

Oggi la Commissione, d'intesa con il Parlamento europeo e il Consiglio, ha dichiarato l'11 febbraio "Giornata europea del 112" al fine di promuovere il numero unico di emergenza dell'UE e spingere le autorità nazionali a renderlo più multilingue.


"Il numero di emergenza europeo dovrebbe cessare di essere il segreto meglio custodito d'Europa. Disponiamo di un numero unico, il 112, che funziona per tutte le emergenze e per ogni Stato membro e cittadino che ne ha bisogno. Ma è inaccettabile che meno di un quarto dei cittadini conosca questo numero o che le barriere linguistiche impediscano ai viaggiatori che chiamano il 112 di comunicare con l'operatore" ha dichiarato Viviane Reding, Commissaria europea responsabile delle telecomunicazioni.
"L'UE deve sforzarsi di garantire la sicurezza dei suoi 500 milioni di cittadini con lo stesso impegno con cui si è adoperata per garantire loro la possibilità di viaggiare liberamente tra i 27 paesi. La prima giornata europea del 112 dovrebbe sensibilizzare le autorità nazionali circa la necessità di aumentare il numero di lingue disponibili nei loro centri di emergenza '112' nonché promuovere la conoscenza di questo numero."
 

Un sondaggio condotto in tutta l'UE per conto della Commissione europea mostra che il 94% dei cittadini europei ritiene sia utile disporre di un numero unico di emergenza accessibile in tutta l'Unione. Il sondaggio Eurobarometro pubblicato oggi ha messo inoltre in evidenza i settori in cui è ancora possibile apportare miglioramenti.


Problemi linguistici: il 28% dei chiamanti incontra problemi linguistici quando chiama il 112 all'estero malgrado il fatto che, stando alle informazioni fornite da 21 Stati membri, i centri di emergenza "112" di tali Stati dovrebbero essere in grado di gestire le chiamate in inglese (12 Stati membri sono in grado di gestirle in tedesco e 11 Stati membri in francese).


Conoscenza del 112: in generale, solo il 24% degli europei interpellati è stato in grado di identificare spontaneamente il 112 come il numero a cui rivolgersi per ottenere servizi di emergenza in tutta l'UE. Ciò costituisce un miglioramento del 2% rispetto al febbraio 2008, ma la conoscenza del numero di emergenza dell'UE varia notevolmente da un paese all'altro, dal 3% in Italia al 58% nella Repubblica ceca. 

Molti Stati membri informano i propri cittadini e i visitatori in merito al 112. 
In particolare:


-   in Finlandia la giornata del 112 si celebra annualmente l'11 febbraio;


- i viaggiatori che si recano in Bulgaria ricevono un SMS di benvenuto contenente informazioni sul 112;


-   il 112 è pubblicizzato lungo le autostrade e presso i caselli autostradali in Austria, Grecia e Spagna, nonché nelle stazioni ferroviarie e negli aeroporti di alcuni paesi fra cui il Belgio, la Repubblica ceca, l'Estonia, l'Irlanda, la Grecia e i Paesi Bassi;

- in Svezia prima dell'inizio della stagione turistica vengono organizzate campagne di informazione nei media che informano i cittadini in merito al 112.

Nel corso dell'ultimo anno la conoscenza del 112 è aumentata almeno del 10% in Bulgaria, Svezia, Romania, Lituania e Portogallo.


Il sondaggio Eurobarometro ha inoltre mostrato che:


-   un quarto dei cittadini dell'UE ha chiamato un numero di emergenza nel corso degli ultimi cinque anni;


-  la maggior parte delle chiamate (53%) proviene ancora da telefoni fissi; si rileva tuttavia un aumento delle chiamate di emergenza effettuate da cellulari (il 45%, rispetto al 42% nel 2008).


Per garantire la conoscenza del 112 in tutta l'Europa la Commissione europea, d'intesa con il Parlamento europeo e il Consiglio, ha dichiarato l'11 febbraio "Giornata europea del 112". La Commissione e gli Stati membri moltiplicheranno gli sforzi destinati a pubblicizzare il 112, soprattutto in prossimità delle vacanze estive.



Il numero di emergenza europeo 112 è stato introdotto nel 1991 per mettere a disposizione un numero di emergenza unico per tutti gli Stati membri, in aggiunta ai numeri di emergenza nazionali, e rendere così più accessibili i servizi di emergenza, soprattutto per i viaggiatori
Dal 1998 la normativa dell'UE impone agli Stati membri di garantire che tutti gli utenti di telefonia fissa e mobile possano chiamare gratuitamente il 112. 
Dal 2003 gli operatori di telecomunicazioni devono fornire ai servizi di emergenza informazioni sulla localizzazione del chiamante per consentire loro di reperire rapidamente le vittime di incidenti. 
Gli Stati membri hanno inoltre il compito di sensibilizzare i cittadini sull'uso del 112.

Per garantire l'operatività del 112, la Commissione ha lanciato 17 procedure d'infrazione contro 15 paesi in cui esso non era disponibile, non era attiva la funzione di localizzazione del chiamante o la gestione delle chiamate risultava inadeguata. La maggior parte di tali casi sono stati chiusi a seguito dell'adozione di misure correttive.

Benché in genere il 112 completi gli altri numeri nazionali di emergenza esistenti, la Danimarca, la Finlandia, i Paesi Bassi, il Portogallo, la Svezia e di recente la Romania hanno deciso di farne il loro principale numero di emergenza nazionale. In altri paesi, il 112 è il solo numero disponibile per determinati servizi di emergenza (ad esempio in Estonia e Lussemburgo per le ambulanze o i vigili del fuoco).

lunedì 28 gennaio 2013

Nasce "Diritto in Rosa"

Passo parola e... fatelo anche voi! ;)

PRESENTAZIONE PROGETTO SPORTELLO LEGALE 2013
 tutte le informazioni su www.dirittoinrosa.com

L'Associazione Diritto in Rosa presta attività di consulenza ed assistenza legale per la difesa dei diritti della persona nell’ambito del diritto di famiglia (con particolare riguardo alle situazioni di violenza domestica e maltrattamenti), diritto minorile, diritto penale e diritto del lavoro; in particolare l’Associazione opera a sostegno delle donne in materia di violenza di genere, maltrattamenti, stalking e violenze sessuali su donne e minori;

l’Associazione presta inoltre la propria attività nei momenti di crisi matrimoniale e crisi della convivenza per fornire supporto ai genitori ed ai minori, al fine di continuare e gestire al meglio la delicata fase processuale della separazione e del divorzio; fornisce assistenza legale relativamente alle problematiche delle donne nel mondo del lavoro;

Tale progetto è volto inoltre alla promozione, sempre nell’ottica di assistenza alle famiglie, dell’attività di consulenza e sostegno ai genitori in tutto l’arco temporale che va dalla nascita dei figli alla loro uscita di casa;

DESCRIZIONE ATTIVITA’: In particolare, l’Associazione Diritto in Rosa presterà attività di orientamento e promozione del sapere giuridico ed attività di consulenza ed assistenza legale in materia di:
-Diritto penale per la difesa della donna e dei minori in ipotesi di maltrattamenti e violenze sessuali; aiuto alla donna ad intraprendere un percorso di denuncia in ipotesi di maltrattamenti, sia fisici che morali, stalking e violenza di genere;

-Diritto di famiglia per tutto ciò che attiene ai momenti di crisi matrimoniale e della convivenza (separazione, divorzio, affidamento figli, adozione, riconoscimento paternità);

-Diritto del lavoro e della previdenza sociale;

METODOLOGIE E STRUMENTI: l’Associazione opera attraverso uno sportello per la consulenza presso la sede di Roma, Piazza Santa Maria Liberatrice n. 45, per cui gli utenti previo appuntamento, possono avere una consulenza in materia di famiglia, minori, penale e lavoro.

FINALITA’: Sostenere le donne ad intraprendere un percorso di denuncia; supportare le donne e le famiglie; attuare un progetto volto a garantire e supportare le famiglie, durante i momenti di crisi familiare e di difficoltà, sotto il profilo giuridico.

Si comunica la prossima apertura di altri due sportelli legali a Roma ed in provincia.

GiULiA aderisce al Flash Mob 14.2.2013

Il 14 febbraio è One Billion Rising!

Un'azione globale a cui parteciperanno un miliardo di donne e uomini per rispondere alla violenza con la danza. Una mobilitazione non violenta a cui aderisce anche GiULiA.

"Un miliardo di donne violate è un'atrocità. Un miliardo di donne che ballano è una rivoluzione" (Eve Ensler)

GiULiA aderisce a ONE BILLION RISING, azione globale a cui il prossimo 14 febbraio parteciperanno un miliardo di donne e uomini per rispondere alla violenza con la danza.

L'iniziativa "globale" - che ha già ottenuto l'adesione di organizzazioni, attivisti, leader e celebrità di 182 paesi del mondo - è stata ideata da Eve Ensler e dal movimento V-Day, nato dall'esperienza si "I monologhi della vagina", spettacolo che viene messo in scena dal 1998 e che ha aiutato in tutti questi anni non solo a raccogliere fondi, ma anche e soprattutto a fare sensibilizzazione riguardo al sempre attuale tema della violenza sulle donne.

Al grido di "Basta alla violenza sulle donne e sulle ragazze. Ora." l'organizzazione no-profit V-Day è cresciuta raccogliendo consensi tra le personalità del mondo dello spettacolo, della politica e delle relazioni internazionali, ma anche tra donne e persone comuni, tutte unite dal comune obiettivo del rispetto dei diritti delle donne. Tra le tante adesioni quelle di Robert Redford, Yoko Ono, Naomi Klein e Laura Pausini, ministri, leader di movimenti sociali, membri del parlamento, e migliaia di associazioni ed organizzazioni con sedi in 160 paesi del mondo, da Amnesty International a Se Non Ora Quando?

In Italia ONE BILLION RISING ha avuto tra le altre anche l'adesione di D.I.RE Donne in rete contro la violenza, Casa internazionale delle Donne, Cerchi d'acqua,Accademia Nazionale di Danza, Ass. Intervita, Ass. Artemisia, NOI NO e molte altre associazioni.

Appuntamento al 14 febbraio: gli appuntamenti nelle vostre città litrovate su http://obritalia.livejournal.com e su www.onebillionrising.org.


fonte

L'INSURREZIONE

Scritto a Kerala per le donne indiane che ci mostrano la strada
Potrebbe succedere ovunque

E così è stato

Mexico City

Manila

Mumbai

Manhattan

Uomini notturni

In attesa

Come lupi

Che sbavano

Per la preda

Dietro

Quell’unica porta vagamente verniciata

pagando niente

Due dollari

o euro

o rupie

o pesos

Per possederla

Entrare in lei

Mangiarla

Divorarla

E gettare via le sue ossa.

Potrebbe succedere ovunque

E così è stato

Una monaca buddista su un autobus

Che cercava di rimanere all'asciutto per la notte

Un leader donna che si opponeva

al governo repressivo

Una giovane donna in viaggio con il suo ragazzo

Una ha perso la voce

L’altra il suo seguito

L’ultima la sua vita

Potrebbe succedere ovunque e così è stato

Croci rosa di legno

Una catasta di pietre

Rossi garofani appassiti

Sedie vuote in una piazza

Nastri che volano nel vento afoso

Chiedo ad Anna a Nighat a Kamla a Monique a Tanisha a Emily

Perché Perché

Porque Eran Mujeres

Parce qu'elles étaient des femmes

Because they were women

Perché erano donne

Potrebbe succedere ovunque

E così è stato

Dove una donna è stata licenziata per essere troppo bella

Una è stata multata per aver bevuto dopo essere stata violentata

Ad una è stata fatta una seria offerta di matrimonio dal suo violentatore

Le fu detto che era legittimo e non un'imposizione.

Potrebbe succedere ovunque

Fanno queste cose

Quando le ragazze vanno a far legna

Entrano nell’auto di un uomo solo

Bevono un po’ troppo alla festa universitaria

E si svegliano con le dita dello zio dentro

Scappano da machete e pistole urlanti

Prese all’alba

Fucilate per aver imparato l’alfabeto

Lapidate per essersi innamorate

Bruciate per aver predetto il futuro

Sono stanca

Di catalogare questi orrori

Dati Pornografici

2 milioni di donne violentate e torturate

1 donna su 3

Una donna violentata ogni minuto

Ogni secondo

Una su due

Una su cinque

Lo stesso

Una

Una

Una

Sono stanca di contare

E ricontare

È il momento di raccontare una storia nuova

C'è bisogno della nostra storia

C'è bisogno che sia atroce e inaspettata

che ad un certo punto faccia perdere il controllo

che sia sensuale e venga dai nostri fianchi

e dai nostri piedi

C'è bisogno che sia arrabbiata e che sia spaventosa come sanno essere spaventose le tempeste

Una storia che non debba chiedere permesso

che non abbia bisogno di permessi o di uffici appositi

O di creare reddito

Non sarà registrata o comprata o venduta

O contata

Deve solo accadere

Non si tratta d’inventare

Ma di ricordare

Sepolta sotto le foglie di traumi e sofferenze

Sotto il fiume di

sperma e squallore

Vagine e labbra

Strappate ed estratte

Rubate

Miniere di corpi

Corpi scavati

Adesso non si tratta di chiedere

O di aspettare

Si tratta di insorgere.

Solleva il tuo braccio sorella e fratello

Solleva il tuo unico braccio

Miliardi

Il tuo unico cuore

Il tuo sarà uno dei nostri.

Una volta avevo paura dell’amore

Faceva troppo male

Ciò che non è mai successo

Ciò che è stato strappato via

Lo stupro

La ferita

E l’amore

Pensavo

fosse il sale

Ma sbagliavo

Sbagliavo

Attraversa il fuoco.

Solleva il tuo braccio

Solleva il tuo uno

Miliardi

Uno

Uno

Uno

che insorge

che si ribella

che si rialza

A me "vittima" non lo dici


Venerdì 25 Gennaio 2013: Sono entrata spesso in polemica con pubblicitari e enti istituzionali benintenzionati che cercavano di fare comunicazione contro la violenza alle donne e riuscivano a ottenere esattamente il contrario dell'effetto cercato. 
Si è sempre trattato di manifesti, spot e slogan che, pur con l'intenzione di combatterla, di fatto confermavano l'estetica della donna come creatura fragile e simbolica, inerme vittima da salvare oppure incarnazione di valori universali che prescindevano dalla sua persona. 

Le frasi sono sempre le stesse. 

Chi stupra una donna non stupra lei, ma stupra la culla stessa della vita. 

Chi offende una donna non offende una persona, ma offende il mondo. 

Chi ferisce una donna non ferisce quella donna, ma in lei ferisce la propria madre, la propria sorella, la propria figlia. 

Le donne vanno protette, amate, se necessario salvate, non perchè persone portatrici dello stesso diritto al rispetto degli uomini, ma perché espressione di un sistema simbolico che pesa loro tutto addosso e di cui di conseguenza sono considerate responsabili. 


Custodie di questo valore, sacerdotesse di quello, scrigni di quell'altro, le donne non sono mai solo persone. 

Che questo equivoco sia la base, e non la negazione, delle violenze e degli abusi è un concetto che ancora fatica molto a passare, persino nelle teste di chi la lotta contro la violenza la fa operativamente ogni giorno.
Eppure c'è un esempio riuscitissimo di come si fa la comunicazione della non violenza alle donne. 

Guardate la campagna di sensibilizzazione all'evento One Billion Rising, il progetto internazionale contro la violenza, lo stupro e gli abusi sulle donne. 

Circolano tre video di fattura eccellente che dovrebbero essere studiati nelle scuole di comunicazione per vedere come si fa una battaglia di concetto senza confermare l'idea che si vuole disinnescare.

Il primo video è un corto di 3 minuti che non immagino quanto possa essere costato, ma di straordinaria efficacia. Ci sono donne di ogni parte del mondo sottoposte a violenze fisiche, molestie, sfruttamento e abuso. 
La raffigurazione della tragedia universale delle donne viene scossa da un ritmo crescente che parte dalla terra stessa e fa tremare i loro piedi, i piedi dei loro abusatori, le travi delle case, le fondamenta dei luoghi di lavoro e l'anima di chi guarda. 

Il ritmo non è la cavalleria che arriva, non sono gli zoccoli dei salvatori sui destrieri bianchi. E' il coraggio delle donne che interrompe la sequenza di violenza. E' la loro determinazione, la loro forza e la loro presa di consapevolezza. 

Il ritmo diventa ballo e il ballo diventa liberazione, perchè solo chi è senza catene può danzare e riprendersi corpo, respiro, dignità. 

Il gesto del braccio alzato è fortissimo. Dice: sono io, sono qui, presente e soggetto della mia vita. Non mi farete più niente che io non voglia e il 14 febbraio mi vedrete in piazza per dirlo a tutti.

Il secondo video è la canzone ufficiale dell'evento, intitolata significativamente Break the chain, dove lo stesso concetto di presa in carico del proprio destino è ancora una volta raffigurato dal gesto del ballo, liberatorio e energetico. 
La danza rompe le regole, dice il testo, ed è vero: rompe anche quelle della comunicazione che vorrebbe le donne vittime piangenti su sè stesse, esseri autocommiseranti e fragili incapaci di invertire la propria storia se non interviene una forza esterna. La canzone è la base musicale del grande flash mob che si sta preparando per il 14 febbraio.

Il terzo video è una canzone aggiuntiva che fa parte del materiale di supporto al concetto centrale, cioè che le donne sono libere, non liberate o liberabili. In questa canzone a cantare è un uomo e nel video sono presenti anche uomini, a differenza che negli altri due. Non sono uomini violenti, ma uomini che si riconoscono nello spirito del One Billion Rising e che lo interpretano testualmente per quello che è: rising, cioè il momento in cui le donne sorgono, si rialzano, diventando protagoniste della loro liberazione. 
E' un invito a ballare anche per loro, i maschi, insieme alle donne contro ogni violenza.

Guardateli, guardate il sito, e poi cercate la piazza più vicina a voi dove andare a ballare, donne e uomini, il 14 febbraio 2013. In Sardegna ci stiamo preparando.
Manca poco.
fonte: il blog di Michela Murgia

domenica 27 gennaio 2013

"Cara Memoria, che fine stai facendo?"

27 gennaio: In occasione della Giornata della Memoria per ricordare le vittime del nazifascismo  una ragazza di 14 anni ha scritto un bellissimo tema, durante un compito in classe. Desidero ospitarlo sul mio blog perché mi ha fatto venire i brividi mentre lo leggevo, dunque... vi passo l'emozione: 


Ventisette gennaio, giornata della Memoria per ricordare le vittime del nazifascismo. Dal binario 16 di Santa Maria Novella domani partirà il treno della Memoria, direzione Auschwitz a conclusione di un viaggio di studio e riflessione.

Di seguito il tema scritto da una studentessa del primo anno del liceo scientifico Gobetti di Firenze, Irene Rinaldi.

"Conoscere bene gli eventi del passato aiuta a vivere in modo piu’ consapevole il presente e a progettare un futuro possibile e migliore.  Per questo possiamo affermare che la Memoria genera speranza… Sei d’accordo?"


"Cara Memoria,
Dove sei? Che fine stai facendo?
Salgono al potere partiti neonazisti, si usano simboli in puro stile Hitleriano, si uccidono le persone di colore… Ma in che mondo ci hai lasciati? Perche’ te ne vai?
Lo so perché: tu scappi apparentemente, ma in verità è la gente che non ti vuole, ti evita, si allontana il più possibile da te, o forse semplicemente non ti conosce, probabilmente sì,  è proprio questo il problema: “la gente non ti conosce” la stupidità sta “rubando” i cervelli e i cuori, e i dittatori quando trovano l’ignoranza la coltivano. Ma i frutti poi mica li vendono, li raccolgono brutalmente, li sbattono in cassette di plastica verde, uno sopra l’altro, ne fanno cibo per i loro denti; e una volta azzannati dalle tiranniche fauci del “padrone”, non ce la fanno a scappare i frutti.
Allora ci devi aiutare tu, ma non ci devi aiutare a scappare dalle “fauci” ci devi aiutare a non finirci proprio: ci devi spiegare che una cosa del genere pochissimo tempo fa ha fatto morire cinquanta milioni di persone, devi raccontarcelo, devi!
Come lo costruiamo, noi giovani,  un futuro senza di te?
Noi ci impegniamo, studiamo il passato ed urliamo a tutto il mondo le brutalità che l’hanno costruito, ma senza che la gente si fidi di te, capisca che tu sei vera,  che non narri di favole con l’orco cattivo, ma racconti la triste verità  di sei milioni di persone che trasportavano pesanti incudini in mano, magari con una scarpa sola, soffocate da un recinto spinato e che poi, una dopo l’altra, sono state uccise dalla noncuranza di una mano armata, chi lo capisce che non può esserci futuro? Come glielo diciamo alle persone qua intorno che non c’è speranza?
C’è bisogno di te: prendi il cuore, la mente di ogni individuo e portalo a ragionare, non perderti in chiacchere dicendo che ciascun uomo deve avere la dignità di un altro, che il mondo è bello perché è vario, quello lo capiscono in pochi, sii concreta, diretta, di’ che non c’è futuro senza di te, che tutto andrà ad aggravarsi, non poco. Spiegalo che una delle poche speranze sei tu, l’aspettativa, la possibilità.
Resisti, ti prego, non darla vinta agli stupidi, rimani, perché solo così sarà possibile andare incontro alla soluzione alle numerose ingiustizie dell’umanità attuale.
Con affetto Irene"
 
(26 gennaio 2013)

letto su: 

venerdì 25 gennaio 2013

Coreografia del Flash Mob 14.2.2013

Care amiche e cari amici,


come ormai tutti sapete il 14 febbraio saremo in piazza a Roma con un flashmob per One Billion Rising ed eccoci a darvi qualche altro dettaglio. La scorsa settimana ci siamo incontrate con Barbara Mousy che gentilmente ci ha aiutate ad ideare una coreografia per il flashmob ed ecco quello che abbiamo creato:


Non è solo una coreografia di danza afro come potrebbe sembrare, ma per noi è molto di più.

Ballando raccontiamo con il corpo una storia, sia per far comprendere a chi ci guarda qual è il messaggio ma soprattutto per noi stesse, perché ballando facciamo simbolicamente noi per prime lo stesso percorso di guarigione che vorremmo potessero fare tutte le donne del mondo:



Le fasi che abbiamo immaginato sono queste:

-        camminiamo nella vita quotidiana

-        subiamo la violenza e ci chiudiamo

-        apriamo gli occhi e consapevolizziamo cosa è accaduto

-        siamo coraggiose e  tutte insieme spezziamo le catene che ci bloccano
          sia interne che esterne

-        accusiamo i nostri aggressori e tutti coloro che sono complici diretti
         ed indiretti e che hanno permesso che ciò accadesse

-        ricominciamo a camminare libere

-        siamo guarite e le farfalle, simbolo del femminile, tornano a volare

-        festeggiamo e danziamo libere

-        stop! basta con la violenza

-        siamo in piedi e riprendiamo il nostro spazio nel mondo



Il suono dei tamburi della Madre Terra ci accompagnano a sottolineare che noi donne siamo connesse con lei e che tornando a consapevolizzare questa unione saremo più forti e protette.



Il nostro desiderio è che il 14 Febbraio un’onda di energia possa accarezzare le ferite delle nostre sorelle sofferenti e guarirle simbolicamente, facendo sentire a tutte noi che insieme possiamo farcela, che insieme abbiamo la forza per affrontare le difficoltà e che possiamo affermare in armonia il nostro posto nel mondo. Basta violenza!

Come saremo riconoscibili?
 Saremo vestite di nero, con sciarpe o cappelli o foulard rossi e/o fucsia e avremo un nastro di raso fucsia o rosso legato al polso che useremo simbolicamente come catena da spezzare durante la coreografia.
Qualche dettaglio pratico sulla coreografia:
    -   la sequenza inizia con la gamba destra e quindi NON deve essere imparata a
        specchio
    -   il gruppo guida inizierà da solo con la presa di coscienza dello spazio
    -   il segnale per unirsi è l'inizio del suono dei tamburi
    -   la camminata iniziale durerà un po' più a lungo per permettere a tutti di unirsi
    -   ogni altro passo va ripetuto 3 volte
    -   nel passaggio in cui spezziamo le catene (laterale con il ginocchio che si alza),
        utilizziamo il nastro di raso come simboliche catene legandolo al polso, tenendolo
        con l'altra mano e lasciandolo andare quando passiamo sopra al ginocchio.
    -   alla chiusura fermatevi con la mano giù quando si bloccano i tamburi e poi alzatela!

Se volete diffondere, aderire, promuovere: condividete questo è link dove trovare la coreografia: https://www.youtube.com/watch?v=m3Yr9WBfI-I


Qualsiasi impegno abbiate nella vita, se potete prendervi un pomeriggio libero, alzatevi con noi! Ballate con noi!
A presto per i dettagli logistici!



Marocco: stupri e "matrimonio riparatore"

Amina Filali protest
Protesta delle donne a sostegno di Amina Filali, che si è uccisa per uscire da matrimonio con un uomo che l'aveva violentata. Foto: Abdeljalil Bounhar / AP  


 Gruppi per i diritti delle donne accolgono il cambiamento nel codice penale dopo il suicidio di una 16enne che è stata costretta a sposare il suo stupratore

Quasi un anno dopo il Marocco è stato sconvolto dal suicidio di una ragazza 16enne che è stata costretta a sposare il suo stupratore presunto, il governo ha annunciato l'intenzione di modificare il codice penale di vietare la prassi tradizionale.

Attivisti per i diritti delle donne hanno accolto con favore l'annuncio del ministro della Giustizia, Mustapha Ramid, ma hanno detto che è solo un primo passo nella riforma del  codice penale che non fa abbastanza per fermare la violenza contro le donne nel nord Africa.

Un paragrafo del codice penale (all'articolo 475) consente i condannati per corruzione o rapimento di un minore di essere liberi se sposano la loro vittima. La pratica è stata incoraggiata dai giudici per "preservare" la vergogna della famiglia.

Lo scorso marzo, Amina al-Filali 16 anni, si è avvelenata prima di partorire un bambino di sette mesi, per liberarsi del matrimonio con 23 che, ha detto, l'aveva violentata.

I suoi genitori e un giudice avevano spinto il matrimonio per proteggere l'onore della famiglia.

La pratica tradizionale può essere trovato in tutto il Medio Oriente e anche in paesi come l'India e l'Afghanistan, in cui la perdita della verginità di una donna fuori dal matrimonio è un enorme macchia per l'onore della famiglia o tribù.

Mentre l'età del matrimonio in Marocco è ufficialmente 18, i giudici di routine approvano il rito anche se i ragazzi sono molto più giovani.

"La modifica di questo articolo è una buona cosa, ma non soddisfa tutte le nostre esigenze", ha dichiarato Khadija Ryadi, presidente dell'Associazione marocchina per i diritti umani. "Il codice penale deve essere completamente riformato perché contiene molte disposizioni che discriminano le donne e non proteggono le donne contro la violenza."

Ha individuato in particolare le parti ormai superate della legge che distinguono tra "stupro con conseguente deflorazione e proprio stupro semplice". Il nuovo articolo proposto Lunedi, per esempio, offre una pena di 10 anni per il sesso consensuale dopo la corruzione di minore, ma raddoppia la pena se risultata sesso con "deflorazione".

Fouzia Assouli, presidente della Lega democratica per i diritti della donna, ha fatto eco Ryadi preoccupazioni, spiegando che il codice penalizza solo la violenza contro le donne dal punto di vista morale "e non perché si tratta solo di violenza".

"La legge non riconosce alcune forme di violenza contro le donne, come lo stupro coniugale, mentre penalizza ancora un altro comportamento normale come il sesso al di fuori del matrimonio tra adulti", ha aggiunto.

Recenti statistiche del governo ha riferito che il 50% degli attacchi contro le donne avviene all'interno delle relazioni coniugali.

La modifica del codice penale è stata dominata per un lungo tempo dal governo islamista, recalcitranti a riformare la legge.

Il ministero della giustizia, al momento ha sostenuto che al-Filali non era stata violentata e il sesso, che ha avuto luogo quando aveva 15 anni, era stato consensuale.

Il primo ministro ha poi sostenuto di fronte al parlamento che la disposizione in matrimonio l'articolo è stato, in ogni caso, raramente utilizzato.

"In 550 casi di corruzione di minori tra il 2009 e il 2010, solo sette sono sposati ai sensi dell'articolo 475 del codice penale, per il resto sono stati perseguiti dalla giustizia", ha dichiarato il 24 dicembre Abdeliah Benkirane

Mentre il Marocco ha aggiornato il proprio codice di famiglia nel 2004, una legge organica contro la violenza contro le donne è rimasta a languire in Parlamento negli ultimi otto anni.

Il ministro dello sviluppo sociale, Bassima Hakkaoui, unico ministro donna, ha detto che nel mese di settembre avrebbe tentato di ottenere la legge approvata.


FONTE

Femminicidio: NO MORE!

Anche quest'anno le cronache sono piene di donne uccise per mano di uomini, di solito a loro molto vicini. Ma adesso è ora di andare oltre l’indignazione e la denuncia per concentrarsi sulle strategie con cui affrontare questa violenza con il suo tragico costo umano, sociale, culturale ed economico.
di Vittoria Tola

Femminicidio! Violenza maschile sulle donne! Mai più! NO MORE come recita il titolo della Convenzione firmata dalle maggiori associazione di donne che da anni sono impegnate ad aiutare le donne, combattere la violenza e prevenire il femminicidio. Un neologismo politico, una parola che da mesi sta entrando con forza nel lessico giornalistico e quotidiano, nei dibattiti politici. Un neologismo voluto e affermato da anni da studiose femministe e dalle lotte delle donne per svelare questa violenza in tutto il mondo a partire dal Messico in cui le donne sono state protagoniste del suo riconoscimento giuridico nei tribunali internazionali. Un termine adottato dall’Onu.

In Italia, con fatica si sta facendo largo la convinzione che a essere brutta non sia la parola ma il fenomeno che rappresenta e che mette in luce obbligando tutti a superare silenzi, complicità e minimizzazioni. Femminicidio infatti indica l’omicidio di donne in quanto donne, mette allo scoperto la radice di genere di questi assassini e li definisce come tali non in modo neutro ma in base al genere. Come risultato di ogni forma di discriminazione e violenza rivolta alle donne in ogni sua forma in quanto donne, a causa del potere che viene esercitato su di esse, affinchè il loro comportamento corrisponda alle aspettative maschili e della società. Una forma di controllo che punta ad annientare l’identità della donna e la cui disobbedienza è punita con violenza e sempre più spesso con la morte.

Un potere sistemico che attraversa il tempo e lo spazio e si rappresenta in forme proprie in ogni società violando i diritti fondamentali spesso con la complicità e connivenza delle istituzioni. O fidando del loro silenzio. Come vediamo in Italia dove anche quest’anno, come in quelli precedenti, la cronaca ci informa di donne uccise da uomini. Donne di tutte le età, di vari ceti sociali, abitanti in diverse parti del paese. Le loro morti differiscono solo per le modalità più o meno efferate della loro uccisione e per le vittime collaterali che le accompagnano ma tutte hanno in comune, salvo una minoranza, che sono uccise da uomini che hanno con loro relazioni affettive, sentimentali, matrimoniali o parentali a cui si sono ribellate. Prima di essere uccise 7 volte su 10 hanno chiesto aiuto per il lungo protrarsi di violenza fisiche, sessuali, psicologiche ed economiche a qualche struttura dello Stato. Invano!

Davanti al silenzio che diventa complicità con i violenti e gli assassini le maggiori associazioni di donne che da decenni si occupano della violenza maschile contro le donne su proposta dell’Udi, Unione donne in Italia, a maggio dopo la morte di Vanessa Scialfa, l’ennesima ragazza uccisa, hanno aperto un confronto per andare oltre l’indignazione e la denuncia in cui le donne da troppo tempo sono costrette, per convenire sull’analisi del fenomeno e sulle strategie con cui affrontare questa violenza con il tragico costo umano, sociale, culturale ed economico che esso comporta e per stringere un patto per proporre allo Stato, in tutte le sue articolazioni, le politiche necessarie non più rinviabili. Proposte nate dalla riflessione e dall’esperienza rafforzata dalle valutazioni degli organismi internazionali dall’Onu all’Europa come il rapporto della Relatrice speciale dell’Onu Rashida Manjoo sull’Italia dimostra e come la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sottolinea in generale.

Per questo, realtà importanti che rappresentano decine e decine di gruppi organizzati come l’Udi, la Casa internazionale delle donne di Roma, GIULIA, D.I.re la rete dei centri antiviolenza, la Piattaforma CEDAW, hanno deciso di condividere un patto, una strategia e una piattaforma rivolta alle istituzioni e a tutte le strutture dello stato per dire basta alla violenza. Ma per arrivare a questo è necessario, come la Convenzione afferma, che la violenza maschile contro le donne sia considerata da tutti non come un problema privato ma politico che trova la sua origine nei rapporti di potere tra i sessi, nella struttura del sistema patriarcale e nella incapacità di governare la sua crisi, nella esclusione e marginalizzazione delle donne dal potere politico e sociale, nel permanere di discriminazioni e di stereotipi sessisti nella società, nella cultura e nei mass media.

La Convenzione No More propone politiche concrete per promuovere una cultura che non discrimini le donne e per adottare ogni misura idonea a prevenire la violenza della cultura maschile, politiche per proteggere le donne che vogliono fuggire dalla violenza maschile. Partendo dalla necessità di raccogliere in modo serio i dati secondo modalità internazionali su tutte le forme di violenza contro le donne, raccolta di dati che oggi in Italia non esiste, di promuovere la formazione di tutti gli operatori che in ragione del loro servizio vengano a contatto con le donne vittime di violenza dalle forze di polizia ai servizi sociosanitari, ai magistrati, ai giornalisti, tutti soggetti che spesso creano vittimizzazione secondaria. E’ necessario far partire processi di cambiamento nella scuola, nell’università e nei mass media.

Nell’immediato serve una organizzazione sistematica e certa di strutture specializzate, i centri antiviolenza, in ogni città, in cui le donne, anche con eventuali i figli, possano trovare protezione e aiuto in collaborazione con le reti locali competenti, formate, verificate e correttamente finanziate. Reti coordinate dai comuni attraverso fondi regionali previsti per legge e su cui ci siano indicazioni certe da parte di tutti i ministeri competenti. Nella sostanza La Convenzione richiama lo Stato e le sue strutture al loro dovere di garantire alle donne il diritto alla vita e all’integrità psicofisica. A far rispettare la differenza sessuale e i diritti di cui le donne sono portatrici. Per questo abbiamo chiesto di incontrare il Presidente del Consiglio Monti e il Presidente della Repubblica Napolitano.
 
Per aderire alla Convenzione NO MORE !
scrivici a: adesioni@nomoreviolenza.it
udinazionale@gmail.com

mercoledì 23 gennaio 2013

In quanto donna...

 Uccise in quanto donna: parliamone!

articolo di -

Irritazione verso un’informazione parziale e superficiale. Ecco cosa ha spinto Emanuela Valente, creatrice del sito inquantodonna.it, a costruire un archivio personale sui tanti femminicidi  avvenuti in Italia negli ultimi anni, con tanto di foto delle vittime e dei carnefici.

Per Valente, giornalista freelance, nel Bel Paese “la versione dei fatti solitamente riportata appartiene al carnefice e troppo spesso le chiacchiere di paese vengono utilizzate per riempire le colonne dei quotidiani. Alla fine è come se le vittime venissero calunniate, vedi il caso di Raffaella Ingrassia. I familiari, così come i controlli accurati della storia personale di chi non c’è più, non vengono presi in considerazione”.

Caso dopo caso la cartella personale è diventata un blog pubblico dove, ci dice,  “ho inserito meno di un decimo di tutti quelli che ho raccolto. Femminicidi puri e semplici. Donne uccise in quanto donne, per rivendicazione di possesso e autorità da parte degli uomini”.

Quando si apre la pagina l’impatto visivo è violento e doloroso: una breve didascalia accompagna la fotografia di tutte le donne uccise, con qualche dettaglio sulla forma di accanimento preferita dai loro aguzzini. A loro la Valente ha dedicato una pagina parallela a quella delle vittime: un muro di foto segnaletiche con nome, cognome e pena ricevuta. La maggior parte di loro ha subito una sentenza irrisoria se paragonata al crimine commesso. Gli sconti di pena sono innumerevoli, alcuni hanno ricevuto l’indulto, altri sono ancora in attesa di giudizio.

Se si analizzano le informazioni contenute in ogni scheda si capisce che l’omicidio è solo la punta dell’iceberg. Quasi tutti giungono dopo anni di violenze, sevizie e minacce, altro che raptus di gelosia. Questa sembra essere una parola adorata dai giornali italiani: raptus. Così si priva l’omicidio della sua premeditazione perché è di questo che si tratta: le botte e le ingiurie sono tutte fasi preliminari contro cui non si riesce quasi mai a fare niente. E la cosa peggiore è che queste donne sono sole. Le più coraggiose provano a parlarne ma troppo spesso non vengono credute, neppure dalla propria famiglia”.

Ma quali sono le ragioni di questo isolamento? 
“Per la società è ancora difficile accettare l’evidenza di un uomo violento, a maggior ragione i rispettabili professionisti bene educati e bene istruiti”. Se si controlla il database questi uomini sono quelli che infliggono il maggior numero di coltellate.

Valente ha sviluppato la teoria del femminicidio sociale:
A volte potremmo considerare la stessa società come carnefice. Prendiamo il caso di Elisabetta Grande e Maria Belmonte, madre e figlia la cui scomparsa non è mai stata denunciata per 8 anni finché non sono state trovate murate nelle pareti di casa. Padre e marito sono indagati ma neppure in paese, Castel Volturno, nessuno ha mai pensato di cercarle. L’omertà è spaventosa, quasi come il giudizio delle malelingue di Taranto che hanno perseguitato Carmela Cirella, vittima 13enne di uno stupro di gruppo, internata in un istituto psichiatrico. Si è suicidata. Fa ancora parte del nostro sistema culturale l’idea che la donna appartiene all’uomo e che sia suo diritto prenderla a calci e pugni se non lo rispetta,  ammazzarla se lo disonora tradendolo o lasciandolo. Siamo decisamente lontani dal poter applicare qualsiasi tipo di soluzione”. 

La legge contro lo stalking, approvata solo nel 2009, è uno dei pochi validi strumenti a tutela delle donne, purtroppo però in Italia è inefficace:
Le donne che trovano la forza di rivolgersi alle Forze dell’Ordine si sentono rispondere . Vanno fino in fondo solo le donne che ormai hanno capito di essere spacciate. Spesso, infatti, sono quelle che poi vengono uccise. È un circolo vizioso in cui le istituzioni non riescono a inserirsi”.

Un’altra parola che spesso viene accostata a femminicidio è sovraesposizione mediatica:
“È vero, se ne parla molto. È un argomento che fa vendere, tanto che a volte si inserisce nella categoria dei delitti di genere anche episodi ad essi estranei. Però credo che sia uno di quei casi in cui sia meglio parlarne troppo che troppo poco. Le donne non possono più convincersi di non sapere quale destino le aspetta. Grazie alla maggiore percezione del problema alcune smettono di vergognarsi, di vivere le violenze come un fallimento personale, cercano aiuto. Si rivolgono a centri di ascolto e rifugi femminili dove gli vengono spiegate le loro possibilità. È vero che magari queste sono inefficaci ma alcune trovano la forza di allontanarsi, di scappare. Altre volte, purtroppo –  in questi rifugi che funzionano su base volontaria vista la mancanza di fondi statali –  le donne incontrano personale non propriamente formato e questo spesso è controproducente. Ma bisogna comunque continuare a parlarne”.

E grazie al lavoro di Emanuela Valente, forse, potremmo imparare a parlarne come si deve.

Islanda: crisi economica sconfitta!

L'FMI ammette: l'Islanda aveva ragione, avevamo torto noi

Per circa tre anni, i nostri governi, la cricca dei banchieri e i media industriali ci hanno garantito che loro conoscevano l’approccio corretto per aggiustare le economie che loro avevano in precedenza paralizzato con la loro mala gestione.
Ci è stato detto che la chiave stava nel balzare sul Popolo Bue imponendo “l’austerità” al fine di continuare a pagare gli interessi ai Parassiti delle Obbligazioni, a qualsiasi costo.

Dopo tre anni di questo continuo, ininterrotto fallimento, la Grecia è già insolvente per il 75% dei suoi debiti e la sua economia è totalmente distrutta.
La Gran Bretagna, la Spagna e l’Italia stanno tutte precipitando in una spirale suicida, in cui quanta più austerità quei governi sadici infliggono ai loro stessi popoli tanto peggiore diventa il problema del loro debito/deficit.
L’Irlanda e il Portogallo sono quasi nella stessa condizione.

Ora, in quello che potrebbe essere il più grande “mea culpa” economico della storia, i media ammettono che questa macchina governativa-bancaria-propagandistica della Troika ha avuto torto per tutto il tempo.
Sono stati costretti a riconoscere che l’approccio dell’Islanda al pronto intervento economico è stato quello corretto sin dall’inizio.

Quale è stato l’approccio dell’Islanda?
Fare l’esatto contrario di tutto ciò che i banchieri che gestivano le nostre economie ci dicevano di fare.
I banchieri (naturalmente) ci dicevano che dovevamo salvare le Grandi Banche criminali a spese dei contribuenti (erano Troppo Grandi Per Fallire).
L’Islanda non ha dato nulla ai banchieri criminali.

I banchieri ci dicevano che nessuna sofferenza (del Popolo Bue) sarebbe stata troppo grande pur di garantire che i Parassiti delle Obbligazioni fossero rimborsati al cento per cento di ogni dollaro.
L’Islanda ha detto ai Parassiti delle Obbligazioni che avrebbero ricevuto quel che sarebbe rimasto dopo che il governo si fosse preso cura del popolo.

I banchieri ci dicevano che i nostri governi non potevano più permettersi la stessa istruzione, lo stesso sistema pensionistico e di assistenza sanitaria che i nostri genitori avevano dato per scontato.
L’Islanda ha detto ai banchieri che quello che il paese non poteva più permettersi era di continuare a vedersi succhiare il sangue dai peggiori criminali finanziari della storia della nostra specie.

Ora, dopo tre anni abbondanti di questa assoluta dicotomia nelle scelte politiche, è emerso un quadro chiaro (nonostante gli sforzi migliori della macchina della propaganda per celare la verità).

Nel loro stile tipico, nel momento in cui i media dell’industria sono costretti ad ammettere di averci gravemente disinformati per molti degli ultimi anni, vengono immediatamente schierati i revisionisti per riscrivere la storia, come dimostrato da questo estratto da Bloomsberg Businessweek:

l’approccio dell’isola al proprio salvataggio ha portato a una ripresa sorprendentemente forte, ha affermato il capo della missione del Fondo Monetario Internazionale nel paese.

In realtà, dal momento in cui è stato orchestrato il Crollo del 2008 e i nostri governi moralmente in bancarotta hanno cominciato ad attuare i piani dei banchieri, io ho scritto che l’unica strategia razionale era di mettere il Popolo prima dei Parassiti. Anche se non mi aspettavo che i decisori della politica nazionale traessero la loro ispirazione dai miei scritti, quando stilavo le ricette economiche per le nostre economie non ho basato le mie idee sulla compassione o semplicemente sul “fare la cosa giusta”.

Ho, invece, costantemente sostenuto che il fatto che “l’approccio islandese” fosse l’unica strategia che aveva una possibilità di riuscita era una questione di semplice aritmetica e dei più elementari principi dell’economia.

Quando Plutarco, 2.000 anni fa, scriveva che “uno squilibrio tra i ricchi e i poveri è il male più fatale di tutte le repubbliche” non stava ripetendo a pappagallo un dogma socialista (1.500 anni prima della nascita del socialismo).
Plutarco stava semplicemente esprimendo il Primo Principio dell’economia; qualcosa su cui tutti gli economisti capitalisti moderni che ne hanno seguito le orme hanno basato le loro stesse teorie.

Quando gli economisti moderni esibiscono il loro gergo, come nel caso della Propensione Marginale al Consumo, esso è francamente basato sulla saggezza di Plutarco: che un’economia sarà sempre più sana con la sua ricchezza nelle mani dei poveri e della Classe Media invece che essere accumulata ricchi pidocchiosi (e giocatori d’azzardo).

Così quando i Revisionisti di Bloomberg tentano di convincerci che la forte (e reale) ripresa economica dell’Islanda è stata una “sorpresa” ciò potrebbe essere vero se nessuno dei nostri governi, nessuno dei banchieri e nessuno dei preziosi “esperti” dei media comprendesse i più elementari principi dell’aritmetica e dell’economia.
E’ questo il messaggio che i media vogliono comunicare?

Quello che qui è ancor più insincero è il tono congratulatorio di questo esercizio di Revisionismo, poiché nulla potrebbe essere più lontano dalla verità.
Come ho detto in dettaglio in una serie di quattro articoli un anno fa, la campagna di “stupro” economico perpetrata contro i governi d’Europa negli ultimi due anni e mezzo (in particolare) è stata espressamente mirata a cancellare “l’opzione islandese” per gli altri governi dell’Europa.

Uno dei motivi per cui l’Islanda è stata in grado di sfuggire alla garrota della cricca bancaria occidentale è che la sua economia (e il suo popolo) conservavano ancora una prosperità residua sufficiente a resistere, mentre la cricca bancaria cercava di strangolare l’economia dell’Islanda come punizione per aver respinto la loro Schiavitù del Debito.

Così, l’austerità non è stata niente di meno di una campagna deliberata per distruggere queste economie europee in modo tale che gli Schiavi fossero troppo economicamente deboli per essere in grado di recidere il loro collare. Missione compiuta!

Si può solo ritenere che né i media dell’industria né i Banchieri Padroni avrebbero consentito che questo chiaro riconoscimento che l’Islanda aveva ragione e noi avevamo torto comparisse sulle loro pagine, a meno che si sentissero sicuri di sapere che tutti gli altri Schiavi del Debito erano stati paralizzati oltre la loro capacità di sfuggire mai a questa oppressione economica.

In effetti, quale prova di questo, non dobbiamo che guardare alla Grecia, l’unica altra nazione europea in cui c’erano state “avvisaglie” (cioè rivolte) mirate a rovesciare il Governo Traditore che aveva servito la cricca dei banchieri.
Dopo due elezioni, la combinazione di paura e propaganda ha intimidito il popolo greco da lungo tempo sofferente al punto da fargli scegliere un altro Governo Traditore, che si era espressamente impegnato a rafforzare i vincoli della schiavitù economica.
Quando gli Schiavi votano per la schiavitù, i Padroni degli Schiavi possono permettersi di gongolare.

Qui, lo scopo di questa propaganda di Bloomberg non è stato di elogiare il governo islandese (quando sia i banchieri sia i media dell’industria disprezzano l’Islanda con tutta la loro considerevole malignità). Piuttosto, l’obiettivo di questa disinformazione è stato di costruire una nuova Grande Bugia.

Invece della Verità, che dal primo giorno l’approccio islandese era l’unica strategia possibile che avrebbe potuto avere successo, mentre i nostri governi hanno scelto una strategia destinata a fallire, otteniamo la Grande Bugia. I nostri Governi Traditori avevano agito onestamente e onorevolmente e il successo dell’Islanda e il nostro fallimento sono stati ancora un’altra “sorpresa che nessuno avrebbe potuto prevedere”.

Abbiamo assistito esattamente allo stesso Revisionismo dopo lo stesso Crollo del 2008, quando i media convenzionali hanno tirato in ballo tutti i loro esperti nell’imbonimento per dirci che erano rimasti “sorpresi” da quell’evento economico, mentre quelli del settore dei metalli preziosi erano andati profetizzando un tal cataclisma, in termini ancora più energici, per molti anni.

Il vero messaggio, cui, per i lettori, è che quando una strategia economica del Popolo prima dei Parassiti ha successo non c’è nulla di minimamente “sorprendente” al riguardo. Così come non è sorprendente che il fatto che tutto il resto del mondo intorno a noi promuova il benessere dei Parassiti, sia un bene soltanto per i Parassiti stessi.

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/iceland-was-right-we-were-wrong-the-imf-by-jeff-neilson

Originale: thestreet.com
traduzione di Giuseppe Volpe - Tratto da: senzasoste.it - Scritto da: Jeff Neilson

http://www.frontediliberazionedaibanchieri.it/