lunedì 28 gennaio 2013

L'INSURREZIONE

Scritto a Kerala per le donne indiane che ci mostrano la strada
Potrebbe succedere ovunque

E così è stato

Mexico City

Manila

Mumbai

Manhattan

Uomini notturni

In attesa

Come lupi

Che sbavano

Per la preda

Dietro

Quell’unica porta vagamente verniciata

pagando niente

Due dollari

o euro

o rupie

o pesos

Per possederla

Entrare in lei

Mangiarla

Divorarla

E gettare via le sue ossa.

Potrebbe succedere ovunque

E così è stato

Una monaca buddista su un autobus

Che cercava di rimanere all'asciutto per la notte

Un leader donna che si opponeva

al governo repressivo

Una giovane donna in viaggio con il suo ragazzo

Una ha perso la voce

L’altra il suo seguito

L’ultima la sua vita

Potrebbe succedere ovunque e così è stato

Croci rosa di legno

Una catasta di pietre

Rossi garofani appassiti

Sedie vuote in una piazza

Nastri che volano nel vento afoso

Chiedo ad Anna a Nighat a Kamla a Monique a Tanisha a Emily

Perché Perché

Porque Eran Mujeres

Parce qu'elles étaient des femmes

Because they were women

Perché erano donne

Potrebbe succedere ovunque

E così è stato

Dove una donna è stata licenziata per essere troppo bella

Una è stata multata per aver bevuto dopo essere stata violentata

Ad una è stata fatta una seria offerta di matrimonio dal suo violentatore

Le fu detto che era legittimo e non un'imposizione.

Potrebbe succedere ovunque

Fanno queste cose

Quando le ragazze vanno a far legna

Entrano nell’auto di un uomo solo

Bevono un po’ troppo alla festa universitaria

E si svegliano con le dita dello zio dentro

Scappano da machete e pistole urlanti

Prese all’alba

Fucilate per aver imparato l’alfabeto

Lapidate per essersi innamorate

Bruciate per aver predetto il futuro

Sono stanca

Di catalogare questi orrori

Dati Pornografici

2 milioni di donne violentate e torturate

1 donna su 3

Una donna violentata ogni minuto

Ogni secondo

Una su due

Una su cinque

Lo stesso

Una

Una

Una

Sono stanca di contare

E ricontare

È il momento di raccontare una storia nuova

C'è bisogno della nostra storia

C'è bisogno che sia atroce e inaspettata

che ad un certo punto faccia perdere il controllo

che sia sensuale e venga dai nostri fianchi

e dai nostri piedi

C'è bisogno che sia arrabbiata e che sia spaventosa come sanno essere spaventose le tempeste

Una storia che non debba chiedere permesso

che non abbia bisogno di permessi o di uffici appositi

O di creare reddito

Non sarà registrata o comprata o venduta

O contata

Deve solo accadere

Non si tratta d’inventare

Ma di ricordare

Sepolta sotto le foglie di traumi e sofferenze

Sotto il fiume di

sperma e squallore

Vagine e labbra

Strappate ed estratte

Rubate

Miniere di corpi

Corpi scavati

Adesso non si tratta di chiedere

O di aspettare

Si tratta di insorgere.

Solleva il tuo braccio sorella e fratello

Solleva il tuo unico braccio

Miliardi

Il tuo unico cuore

Il tuo sarà uno dei nostri.

Una volta avevo paura dell’amore

Faceva troppo male

Ciò che non è mai successo

Ciò che è stato strappato via

Lo stupro

La ferita

E l’amore

Pensavo

fosse il sale

Ma sbagliavo

Sbagliavo

Attraversa il fuoco.

Solleva il tuo braccio

Solleva il tuo uno

Miliardi

Uno

Uno

Uno

che insorge

che si ribella

che si rialza

A me "vittima" non lo dici


Venerdì 25 Gennaio 2013: Sono entrata spesso in polemica con pubblicitari e enti istituzionali benintenzionati che cercavano di fare comunicazione contro la violenza alle donne e riuscivano a ottenere esattamente il contrario dell'effetto cercato. 
Si è sempre trattato di manifesti, spot e slogan che, pur con l'intenzione di combatterla, di fatto confermavano l'estetica della donna come creatura fragile e simbolica, inerme vittima da salvare oppure incarnazione di valori universali che prescindevano dalla sua persona. 

Le frasi sono sempre le stesse. 

Chi stupra una donna non stupra lei, ma stupra la culla stessa della vita. 

Chi offende una donna non offende una persona, ma offende il mondo. 

Chi ferisce una donna non ferisce quella donna, ma in lei ferisce la propria madre, la propria sorella, la propria figlia. 

Le donne vanno protette, amate, se necessario salvate, non perchè persone portatrici dello stesso diritto al rispetto degli uomini, ma perché espressione di un sistema simbolico che pesa loro tutto addosso e di cui di conseguenza sono considerate responsabili. 


Custodie di questo valore, sacerdotesse di quello, scrigni di quell'altro, le donne non sono mai solo persone. 

Che questo equivoco sia la base, e non la negazione, delle violenze e degli abusi è un concetto che ancora fatica molto a passare, persino nelle teste di chi la lotta contro la violenza la fa operativamente ogni giorno.
Eppure c'è un esempio riuscitissimo di come si fa la comunicazione della non violenza alle donne. 

Guardate la campagna di sensibilizzazione all'evento One Billion Rising, il progetto internazionale contro la violenza, lo stupro e gli abusi sulle donne. 

Circolano tre video di fattura eccellente che dovrebbero essere studiati nelle scuole di comunicazione per vedere come si fa una battaglia di concetto senza confermare l'idea che si vuole disinnescare.

Il primo video è un corto di 3 minuti che non immagino quanto possa essere costato, ma di straordinaria efficacia. Ci sono donne di ogni parte del mondo sottoposte a violenze fisiche, molestie, sfruttamento e abuso. 
La raffigurazione della tragedia universale delle donne viene scossa da un ritmo crescente che parte dalla terra stessa e fa tremare i loro piedi, i piedi dei loro abusatori, le travi delle case, le fondamenta dei luoghi di lavoro e l'anima di chi guarda. 

Il ritmo non è la cavalleria che arriva, non sono gli zoccoli dei salvatori sui destrieri bianchi. E' il coraggio delle donne che interrompe la sequenza di violenza. E' la loro determinazione, la loro forza e la loro presa di consapevolezza. 

Il ritmo diventa ballo e il ballo diventa liberazione, perchè solo chi è senza catene può danzare e riprendersi corpo, respiro, dignità. 

Il gesto del braccio alzato è fortissimo. Dice: sono io, sono qui, presente e soggetto della mia vita. Non mi farete più niente che io non voglia e il 14 febbraio mi vedrete in piazza per dirlo a tutti.

Il secondo video è la canzone ufficiale dell'evento, intitolata significativamente Break the chain, dove lo stesso concetto di presa in carico del proprio destino è ancora una volta raffigurato dal gesto del ballo, liberatorio e energetico. 
La danza rompe le regole, dice il testo, ed è vero: rompe anche quelle della comunicazione che vorrebbe le donne vittime piangenti su sè stesse, esseri autocommiseranti e fragili incapaci di invertire la propria storia se non interviene una forza esterna. La canzone è la base musicale del grande flash mob che si sta preparando per il 14 febbraio.

Il terzo video è una canzone aggiuntiva che fa parte del materiale di supporto al concetto centrale, cioè che le donne sono libere, non liberate o liberabili. In questa canzone a cantare è un uomo e nel video sono presenti anche uomini, a differenza che negli altri due. Non sono uomini violenti, ma uomini che si riconoscono nello spirito del One Billion Rising e che lo interpretano testualmente per quello che è: rising, cioè il momento in cui le donne sorgono, si rialzano, diventando protagoniste della loro liberazione. 
E' un invito a ballare anche per loro, i maschi, insieme alle donne contro ogni violenza.

Guardateli, guardate il sito, e poi cercate la piazza più vicina a voi dove andare a ballare, donne e uomini, il 14 febbraio 2013. In Sardegna ci stiamo preparando.
Manca poco.
fonte: il blog di Michela Murgia

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