giovedì 28 agosto 2014

La Monsanto dietro la marjuana di Mujica?

Il nuovo business della marijuana libera in Uruguay: svelati gli intrecci "segreti" tra Mujica, Soros, Monsanto e Rockfeller


L’inchiesta di Dario Clemente su Tanamerica.it è di quelle che colpiscono forte, come un pugno allo stomaco, e lasciano un profondo amaro in bocca. Le righe che seguono provano gli intrecci segreti tra Mujica, il presidente dell’Uruguay, Soros, il finanziere artefice di alcune tra le più grandi malefatte americane, e Rockfeller, il miliardario statunitense fondatore del Bilderberg. Ecco tutti i dettagli.
Di Dario Clemente
L’immagine del presidente uruguayano Pepe Mujica in Italia si divide tra due opposte e monolitiche narrazioni.  Viene attaccato, da destra, con il tipico argomento riservato per anni a Chavez: populista, utopista romantico, rottame di una sinistra ormai tramontata. Fino al killeraggio mediatico dallo scarso spessore analitico e dal molto livore ideologico . Per la sinistra è invece una specie di santo socialista.  

Ex-guerrigliero Tupamaro, leader pacato di un piccolo paese di 3 milioni scarsi di abitanti, la democrazia più  resistente del Sudamerica, candidato al nobel per la pace dal quotidiano inglese “The Guardian”. A prima vista il meno attaccabile dei presidenti “progressisti” del continente, oltretutto dedito al pauperismo e quindi facile sponda di varie argomentazioni “anti-casta”. Entrambe le “fazioni” si esercitano spesso nel gioco della spettacolarizzazione dei suoi atti, in un senso o nell’altro (a proposito, la contraffazione di notizie non è prerogativa unica del “nemiko imperialista”, come dimostra il falso diventato virale su internet qualche settimana fa di Mujica che faceva la coda in un ospedale pubblico).

È forse più interessante perciò prendere in considerazione (stando a nostra volta attenti a “non prendere una parte per il tutto”, “buttare il bambino con l’acqua sporca” ecc ecc) le critiche al suo operato che ci vengono dal continente sudamericano, tendenzialmente più imparziali e documentate. E che in questo caso prendono di mira la recente liberalizzazione del consumo e autoproduzione di marijuana in Uruguay.

Un aspetto importantissimo dell’attività dei movimenti sociali sudamericani e infatti il lavoro di ricerca e di opposizione alle attività nel continente della tristemente nota  multinazionale statunitense Monsanto. Mentre in Argentina, dove dal 1996 è permessa la coltivazione di soia transgenica, di cui è prima esportatrice mondiale, è in discussione la nuova “Ley de semillas” che garantirebbe a diverse multinazionali un maggior controllo sulle licenze di semi a discapito dei piccoli coltivatori, l’ombra minacciosa di Monsanto si allunga anche sulla recente legge sulla marijuana approvata in Uruguay.
 
A fine 2013 il paese sudamericano era stato infatti il primo al mondo a legalizzare la produzione e consumo di marijuana, con l’intento dichiarato di mettere fine al narcotraffico e al consumo di erba di pessima qualità proveniente dal Paraguay. Oltre a potersi costituire in cooperative di consumo e coltivare fino a 6 piante per persona, gli Uruguyani iscritti ad uno speciale registro potranno da fine 2014 comprare in farmacia marjuana prodotta da aziende private e commercializzata dallo Stato, ad un prezzo del 30% inferiore al mercato illegale, meno di un dollaro a grammo.

Il problema verterebbe però proprio sui soggetti che verranno autorizzati alla produzione destinata alle farmacie. I primi clamori erano stati suscitati da un incontro fra Mujica, Rockefeller e Soros a New York lo scorso settembre , proprio per parlare del processo di approvazione della legge, la cui campagna promozionale è stata finanziata al 60% dalla “Open Society Foundation” di Soros.
 
Il multimilionario statunitense, additato dalle sinistre di mezzo mondo come appendice della strategia della “destabilizzazione” dei governi invisi a Washington attraverso le sue innumerevoli associazioni, ha dichiarato che “l’Uruguay è un esperimento” nell’ambito della sua pluriennale campagna contro il narcotraffico nel continente.

Il fatto è che Soros è anche un importante azionista di Monsanto e non pochi hanno collegato la presenza della multinazionale nella produzione nazionale di soia e mais, nonché il suo ingresso nel paese nel 2013 con una nuova tipologia di soia transgenica, al nuovo business della marijuana.


Il timore, insomma, è che l’Uruguay sia un pilot-test su larga scala per una sperimentazione sui semi di marijuana che Monsanto starebbe conducendo da anni, seppur indirettamente, via Olanda e Colombia.
Oltretutto Mujica intenderebbe sviluppare un codice genetico unico per la qualità di marijuana venduta dallo Stato, con lo scopo di differenziarla da quella proveniente dal narcotraffico.  Un brevetto quindi, che potrebbe facilmente essere una varietà sviluppata da Monsanto, non nuova a distribuire semi gratis per poi in seguito rivendicarne la proprietà, e che potrebbe garantire una pianta “resistente” e adatta a coltivazioni estensive.
Sia il governo Uruguayano che Monsanto negano questo scenario. Anzi, la corporation statunitense arriva ad escludere completamente sia un suo interesse allo sviluppo di marijuana o.g.m. nel mondo sia un qualsiasi collegamento con Soros. Il quale sarebbe invece implicato nella vicenda anche come azionista della azienda di produzione di biocombustibile “America del Sur Adecoagro”. 

E non è finita qui perché l’interesse nordamericano alla sperimentazione uruguayana potrebbe estendersi ad altri imprenditori, intenzionati ad una  commercializzazione della sua marijuana negli Stati Uniti (Colorado e Washington) e Canada. L’Uruguay sarebbe infatti ormai più “affidabile” per l’approvvigionamento di altri paesi ( come il Messico ad esempio), anche se Mujica ha finora escluso che vi sarà una produzione per l’esportazione.

La produzione di Marijuana o.g.m. su larga scala aprirebbe inevitabilmente a tutte le problematiche connesse alle coltivazioni transgeniche presenti nel continente: monopolio dei brevetti da parte delle grandi multinazionali, abuso di pesticidi altamente intossicanti per la popolazione,  distruzione della biodiversità e della produzione contadina, nonché ovviamente delle implicazioni rispetto alla qualità del prodotto. Un ulteriore penetrazione di Monsanto renderebbe inoltre il paese ancora più dipendente dagli interessi del capitale “sojero” nazionale e straniero, avvezzo a tentativi di destabilizzazione politico-militari come dimostra il non lontano caso di colpo di stato in Paraguay nel 2012.

AGGIORNAMENTO
Nel frattempo la legge sta subendo un ritardo nella applicazione dovuto alla scarsa legislazione in materia presente a livello internazionale. L’erba destinata alle farmacie non è ancora stata piantata così come l’appalto per scegliere le aziende fornitrici non è stato ancora svolto. Infobae America riporta un sondaggio per cui il 64% degli uruguayani sarebbe contrario all’ applicazione della legge e il 62% favorevole a una sua derogazione parziale. Di sicuro c’è che se la coalizione oficialista di Mujica non risulterà vincente alle elezioni di ottobre (per ora si assesta sul 40% dei consensi) l’opposizione procederà a derogarla, almeno nella parte che avoca la coltivazione allo stato, lasciando in piedi solo la possibilità di auto-produrla.

Fonte:

mercoledì 27 agosto 2014

Israele-Hamas: la tregua

Il cessate il fuoco non dissolve i fantasmi della grande fuga da Israele

Hamas dice: tregua. Ma intanto Gerusalemme ha evacuato la prima linea di kibbutzim a ridosso della Striscia.

Questo l'articolo firmato da Giulio Meotti:

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Tra lunedì e martedì oltre 150 razzi e colpi di mortaio sono stati sparati dalla Striscia di Gaza contro Israele. L'allarme è suonato a Tel Aviv, Ramat HaSharon, Herzliya, Ra'anana, il cuore dello stato ebraico. Hamas ha rivendicato il lancio di un missile iraniano M-75 intercettato sopra Tel Aviv. Durante l'allarme, un volo della El Al in arrivo da Rodi ha dovuto rinviare l'atterraggio all'aeroporto internazionale Ben Gurion. Ieri un missile ha centrato anche un asilo nido di Ashdod.


Intanto, le città a sud del paese stanno diventando delle "ghost town". Come Sderot (foto mia), nota anche come la "città più bombardata al mondo". "ogni giorno arrivano persone traumatizzate in clinica", dice al Foglio la dottoressa Adriana Katz, psichiatra e direttrice dello Sderot Mental Health Center. "Non c'è nessuno per strada. La gente ha paura di uscire, e se lo fa sempre in auto. I negozi sono tutti vuoti. Per ora anche le scuole rimarranno chiuse".
Lì, negli avamposti agricoli vicino a Gaza, professori universitari, medici, ingegneri, hanno appreso a guidare i trattori, ad allevare mucche, polli e pecore, a fare innesti sugli alberi da frutto per ottenere prodotti selezionati. In uno di quei kibbutz una ventina di giovani si è specializzata nella coltivazione dei gladioli. I fiori nel deserto sembravano la pazzia; e forse lo erano, ma significavano anche la testarda tenacia degli israeliani nel vincere ogni difficoltà. Sono stati creati complessi canali di irrigazione, spostati milioni di metri cubi di terra, sono nati dei boschi dove prima non spuntava neppure un filo di erba.


Su questa ingrata costa mediterranea gli ebrei hanno smentito tutti gli esperti: il suolo sabbioso, ad alto tasso di salinità che contraddice ogni dato geologico, è un trionfo di coltivazioni: pomodori, cetrioli, datteri, capperi. "Adamo", in ebraico, significa terra, dicono i residenti di quei kibbutz. Il kibbutz era un modo di vivere senza eguali, pazientemente eroico, sempre esposto alla minaccia del mondo arabo perché la sua funzione, oltre alla produttività, rimaneva quella di avamposto verso le linee nemiche, a nord in Galilea come a sud nel Negev, ai confini della Striscia di Gaza.


Chi si è insediato a ridosso della Striscia ha sempre convissuto con la morte. Ogni tanto, uno dei kibbutz saltava in aria col suo trattore; si faceva lutto per un giorno e si ricominciava. Ma quello che è successo in questi giorni non ha precedenti in Israele.

"Una volta non si osava scappare di fronte al pericolo", scriveva nel 1991 il giornalista Dan Margalit alla vista alla vista di israeliani con le valige in mano. Quanto sta avvenendo oggi nel sud del paese è molto più grave del panico durante la guerra del Golfo. La morte del piccolo Daniel Tragermab, quattro anni, ha spinto tutto gli abitanti di Nahal Oz a partire. I genitori del bambino hanno già detto che non torneranno nel kibbutz. Hamas ha ucciso il piccolo sparando da una scuola di Gaza, la Ali Bin Abi Taleb.
A Nahal Oz così non è rimasto nessuno. In tre giorni, 400 famiglie hanno chiesto di andarsene. I campi, un tempo coltivati oggi sono bucherellati dai mortai di Hamas.


Analisti israeliani paragonano la caduta del fronte sud, otto i missili di Hamas, a quella della linea Bar Lev, la Maginot che gli israeliani costruirono lungo il Canale di Suez e che gli egiziani travolsero nel 1973. La linea Bar Lev, costruita dopo il 1967, da simbolo di eroismo, di fermezza, era divenuta simbolo di immobilismo. L'inopinato rapido crollo della linea Bar Lev ha provocato in Israele un "terremoto psicologico". Con la linea Bar Lev è caduto il mito della superiorità militare israeliana. 


La situazione nel sud di Israele è tale che nei giorni scorsi persino il ministro della Difesa, Moshe Yaalon, e il capo di stato maggiore, Benny Gantz, hanno dovuto annullare una visita ai kibbutz per "ragioni di sicurezza". A differenza delle città del centro del paese, che offrono dai 60 ai 90 secondi di tempo per trovare un riparo in caso di missile, nel sud si hanno dai tre ai quindici secondi.


LA MINACCIA SILENZIOSA PEGGIO DEI RAZZI

Le strade israeliane a ridosso di Gaza sono state ridisegnate con delle curve per ingannare i missili al laser lanciati dai terroristi palestinesi. Sono stati aggiunti anche alberi. Le chiamano "foreste difensive".
Nl kibbutz di Kfar Aza sono caduti così tanti missili che i resti dei Qassam sono usati per decorazioni e vasi dei fiori. I colpi di moraio sono così frequenti che in ebraico sono stati ribattezzati "tif tuf", una pioggerellina. I campi dei kibbutz vanno arati e gli animali accuditi. Così Israele ha inventato per i contadini i cosiddetti "rifugi portatili". Tende fortificate da capo. Nel caso la sirena suoni mentre sei al lavoro. I contadini israeliani, che durante il giorno hanno sudato nei campi, la sera di chiudono nei kibbutz e si apprestano ad affrontare una nuova notte di veglia. Con i fucili.


Missili sono caduti a Havat Shikmin, il ranch di Ariel Sharon, che aveva portato via gli israeliani da Gaza, promettendo sicurezza. I kibbutzim, ancor più dei missili, temono però quella che chiamano "minaccia silenziosa". I tunnel scavati dai terroristi sotto le loro case. Non ci sono sirene per questi. La morte sbuca senza avvertirti e ti porta via. Si sa che Hamas pianificava un "D-day" per il Capodanno ebraico, Rosh Hashannah, a settembre: duecento terroristi mandati a uccidere quanti più israeliani possibile nei kibbutz.
Ecco, questo è Israele.>>


Fonte: "Il Foglio" - 27.08.2014

lunedì 25 agosto 2014

Sulla morte del reporter italiano a Gaza

di Umberto Minopoli
 
Media italiani. Fate bene a nascondere dietro la retorica la morte del nostro giovane connazionale. Dovreste porvi altrimenti delle domande. E sarebbero imbarazzanti per voi. State cantando da tempo la tragedia di Gaza con il metro logoro del racconto epico della lotta tra Davide e Golia. Vi state assumendo la responsabilità' di trattare quelle strade polverose e minate di Gaza come un normale teatro di guerra. Dove mandate a rischiare la vita giovani cronisti a cui fate credere di fare un lavoro eroico. E invece voi, direttori di giornali, di TV, di struttura associate di stampa, state facendo solo un lavoro sporco. Si', sporco. Perché' vi state prestando, senza battere ciglio, all'idea insopportabile della guerra, della vita e della morte di una banda di terroristi. Perché' quel nostro cronista era li'? Cosa c'è' da comunicare nel disinnesco di una bomba? E perché' non farlo da lontan, come sempre si fa in questi casi? Non diteci balle: non era un'azione di guerra da riprendere. Era un'operazione di sminamento normalissima dappertutto e che si svolge dappertutto osservando banalissime regole di sicurezza. La prima? Sul posto ci stanno solo gli artificieri. Invece a Gaza una pericolosissima ma ordinaria azione di sminamento si svolge sotto telecamere e taccuini. Pazzesco! Perché' quello che è normalissima regola dappertutto, non lo è' a Gaza? Perché' solo a Gaza governanti assatanati e terroristi concepiscono la guerra come spettacolo di propaganda. E misurano la vittoria in termini di numero di vittime civili della propria gente. Questa e' Hamas. Per loro il teatro di guerra devono essere case, ospedali, scuole. Per loro le scene di guerra, anche uno sminamento, vanno amplificate  con video e servizi che emozionino il mondo perché' mettono davanti le vittime civili, le case distrutte, le bombe inesplose nei cortili. Tutto da riprendere con foto e video per emozionare. Hamas ha ideato,  a tavolino,  una guerra che deve svolgersi non in campo aperto o intorno ad obiettivi militari come avviene nella terribile convenzione della guerra. Ed  esponendo " al minimo" i civili, dandosi cioè' regole di ingaggio che espongano al minimo i civili ( compresa la regola di allontanare giornalisti e curiosi durante azioni di sminamento). No! Hamas concepisce la guerra come spettacolo della morte dei civili. Ha trasformato strade, scuole, ospedali nel teatro di guerra. Ha inventato gli scudi umani, i soldati-bambino. Costringe la gente durante gli attacchi a stare sotto le bombe. Ha costruito centinaia di canali per colpire Israele ma non li usa come rifugio per i civili ma, solo, per i capi terroristi.  Hamas massimizza il rischio per i civili perché' concepisce l'esibizione di morti civili come successo militare: perché' così' mostrifica l'avversario e punta ad isolarlo confidando sull'emozione del mondo per le vittime civili. Perché' non figurano mai combattenti di Hamas tra i morti palestinesi? Perché' gli israeliani morti sono solo soldati e i palestinesi solo civili? Primo: perché' Hamas trucca i dati per emozionare il mondo. Secondo: perché' Hamas ha trasformato la popolazione civile in combattenti ma indifesi. Solo esponendoli allo spettacolo della morte. Perché' quella e' la guerra per Hamas. E i morti civili sono il suo trofeo. E i media internazionali consentono tutto questo. Tacciono la denuncia dei metodi di Hamas. Titillano questa concezione bestiale, primitiva, odiosa della guerra-spettacolo e del sacrificio ricercato dei civili. Tacciono perché' lo spettacolo e' anche il loro scopo. Loro non dovrebbero solo raccontare e filmare. Dovrebbero contribuire a denunciare la miserabile concezione della guerra, della vita e della morte che hanno i terroristi. Per contribuire ad isolarli. E a perdere. Invece se li fanno amici per raccontare lo spettacolo. Ignobile. E per niente eroico. Continuate pure a criticare Israele, se vi aggrada, ma fate il vostro dovere e dite la verità' su Hamas.Media italiani. Fate bene a nascondere dietro la retorica la morte del nostro giovane connazionale. Dovreste porvi altrimenti delle domande. E sarebbero imbarazzanti per voi.
State cantando da tempo la tragedia di Gaza con il metro logoro del racconto epico della lotta tra Davide e Golia. Vi state assumendo la responsabilità di trattare quelle strade polverose e minate di Gaza come un normale teatro di guerra. Dove mandate a rischiare la vita giovani cronisti a cui fate credere di fare un lavoro eroico. E invece voi, direttori di giornali, di TV, di struttura associate di stampa, state facendo solo un lavoro sporco. Sì, sporco. Perché vi state prestando, senza battere ciglio, all'idea insopportabile della guerra, della vita e della morte di una banda di terroristi.

Perché quel nostro cronista era lì?
Cosa c'è da comunicare nel disinnesco di una bomba?
E perché non farlo da lontano, come sempre si fa in questi casi?

Non diteci balle: non era un'azione di guerra da riprendere. Era un'operazione di sminamento, normalissima dappertutto e che si svolge dappertutto osservando banalissime regole di sicurezza. La prima? Sul posto ci stanno solo gli artificieri. Invece a Gaza una pericolosissima ma ordinaria azione di sminamento si svolge sotto telecamere e taccuini. Pazzesco!

Perché quella che è normalissima regola dappertutto, non lo è a Gaza?
Perché solo a Gaza governanti assatanati e terroristi concepiscono la guerra come spettacolo di propaganda. E misurano la vittoria in termini di numero di vittime civili della propria gente. Questa è Hamas. Per loro il teatro di guerra devono essere case, ospedali, scuole. Per loro le scene di guerra, anche uno sminamento, vanno amplificate con video e servizi che emozionino il mondo perché mettono davanti le vittime civili, le case distrutte, le bombe inesplose nei cortili. Tutto da riprendere con foto e video per emozionare.

Hamas ha ideato, a tavolino, una guerra che deve svolgersi non in campo aperto o intorno ad obiettivi militari come avviene nella terribile convenzione della guerra. Ed esponendo "al minimo" i civili, dandosi cioè regole di ingaggio che espongano al minimo i civili (compresa la regola di allontanare giornalisti e curiosi durante azioni di sminamento).
No! Hamas concepisce la guerra come spettacolo della morte dei civili. Ha trasformato strade, scuole, ospedali nel teatro di guerra.
Ha inventato gli scudi umani, i soldati-bambino.
Costringe la gente durante gli attacchi a stare sotto le bombe.
Ha costruito centinaia di canali per colpire Israele ma non li usa come rifugio per i civili ma, solo, per i capi terroristi.
Hamas massimizza il rischio per i civili perché concepisce l'esibizione di morti civili come successo militare: perché così mostrifica l'avversario e punta ad isolarlo confidando sull'emozione del mondo per le vittime civili.

Perché non figurano mai combattenti di Hamas tra i morti palestinesi?
Perché gli israeliani morti sono solo soldati e i palestinesi solo civili?

Primo: perché Hamas trucca i dati per emozionare il mondo.
Secondo: perché Hamas ha trasformato la popolazione civile in combattenti ma indifesi. Solo esponendoli allo spettacolo della morte. Perché quella è la guerra per Hamas. E i morti civili sono il suo trofeo.

E i media internazionali consentono tutto questo. Tacciono la denuncia dei metodi di Hamas.
Titillano questa concezione bestiale, primitiva, odiosa della guerra-spettacolo e del sacrificio ricercato dei civili.
Tacciono perché lo spettacolo è anche il loro scopo.

Loro non dovrebbero solo raccontare e filmare. Dovrebbero contribuire a denunciare la miserabile concezione della guerra, della vita e della morte che hanno i terroristi. Per contribuire ad isolarli. E a perdere. Invece se li fanno amici per raccontare lo spettacolo. Ignobile. E per niente eroico. Continuate pure a criticare Israele, se vi aggrada, ma fate il vostro dovere e dite la verità su Hamas.

martedì 19 agosto 2014

Una lettera clandestina da Gaza denuncia la spietata dittatura di Hamas


Il messaggio si chiude con un disperato appello al resto del mondo: verrà ascoltato?


Una lettera scritta da un palestinese di Gaza, arrivata per vie semiclandestine nelle mani di un cittadino israeliano e pubblicata da Fox News lo scorso fine settimana, rivela un quadro fosco della vita dei palestinesi sotto la dittatura di Hamas. Nella lettera, un trentenne di Gaza chiamato Ahmed racconta la propria vicenda come scavatore di tunnel per conto di Hamas.

Ahmed racconta di quando, avendo accettato un’offerta di lavoro, venne trasportato in un camion senza finestrini insieme con altri cinque scavatori costretti come lui a lavorare sottoterra su turni estenuanti. 

 “Viaggiammo per un’ora – dice la lettera – Alla fine ci fermammo e ci portarono in un edificio chiuso. Non sapevamo dove eravamo. Ci mostrarono un buco nel terreno e ci dissero di andare dentro. Camminammo per qualche centinaio di metri e quando arrivammo in fondo, c’erano due membri di Hamas che ci stavano aspettando. Ci diedero degli attrezzi di lavoro e ci dissero cosa dovevamo fare per allungare il tunnel”.

"Espropri" dei miliziani di Hamas nella striscia di Gaza
"Espropri" dei terroristi di Hamas, al potere nella striscia di Gaza
Ahmed spiega nella lettera che aveva accettato di lavorare per Hamas per un disperato bisogno di denaro a seguito alla morte del padre Musa e dopo che Hamas, una volta salita al potere nella striscia di Gaza nel 2006, aveva preso possesso dell’officina meccanica di proprietà della sua famiglia: “Facevano loro gli ordini e stabilivano loro i prezzi”.
“Da quel giorno – racconta – ogni mattina un membro armato di Hamas veniva al negozio e ci ordinava di fabbricare tubi metallici con alette. Avevo subito capito che venivano usati per lanciare razzi. Un giorno arrivò un camioncino e dei membri di Hamas prelevarono mio padre dal negozio. Non l’abbiamo più rivisto. Successivamente ho saputo che l’hanno ucciso e che hanno gettato il corpo in una fossa”.

La lettera prosegue descrivendo il durissimo lavoro nelle gallerie non ventilate, sotto la stretta supervisione degli uomini di Hamas che urlavano ordini. Diversi lavoratori venivano picchiati, perché accusati di non lavorare abbastanza in fretta.
Dopo dieci giorni i sei lavoratori, incluso l’autore della lettera, vennero riportati alle loro case dopo aver ricevuto un magro salario rispetto alle sofferenze sopportate. “Non sapevamo dove eravamo stati – dice la lettera – né cosa avevamo scavato”.
Ahmed afferma d’aver capito che aveva aiutato lo sforzo militare di Hamas solo dopo aver sentito le notizie sui tunnel fatti scavare dappertutto dall’organizzazione terroristica.

Violenze dei terroristi di Hamas al potere nella striscia di Gaza
Violenze dei terroristi di Hamas, al potere nella strizia di Gaza
La lettera si conclude con un appello: “Preghiamo che il mondo ci aiuti a liberarci dal dominio spaventoso e crudele di Hamas nella striscia di Gaza. Io prego ogni giorno per la morte di tutti i membri di Hamas, e per ottenere la libertà, e perché ci sia una possibilità di vivere una vita normale per i nostri figli a Gaza. Inshallah”.

Secondo il reportage di Fox News, la lettera è stata portata di nascosto a Itzik Azar, un israeliano che vive in una località nel centro del paese e che nei primi anni ’70 lavorava in un’officina metallurgica nel sud di Tel Aviv. A quei tempi molti lavoratori palestinesi erano impiegati in laboratori, cantieri e officine in tutto Israele. Uno dei colleghi di Azar era Musa, il padre di Ahmed, e faceva il pendolare ogni giorno da Gaza a Tel Aviv.

“Dal momento che Musa e io eravamo quasi della stessa età, diventammo buoni amici – racconta Itzik Azar a YnetNews – Con il passare degli anni, siccome lui viveva a Gaza ci perdemmo un po’ di vista. Quando ci incontrammo di nuovo, lui aveva avuto un figlio di nome Ahmed, che oggi ha circa 30 anni. Ultimamente il nostro rapporto si era riallacciato a causa dei combattimenti nella striscia di Gaza”.

Azar preferisce non rivelare dettagli su come esattamente ha ricevuto la lettera, che è stata scritta a mano su un pezzo di carta. 
“Senza fare nomi, posso solo dire che ho ricevuto la lettera da qualcuno che è uscito dalla striscia di Gaza per ricevere cure mediche in Israele – si limita a dire – Ho distrutto l’originale in arabo perché conteneva troppe informazioni che avrebbero permesso di identificare Musa, Ahmed e la loro famiglia. Non ho alcuna intenzione di metterli in pericolo”.

Azar aggiunge che, quando il dominio di Hamas su Gaza sarà finito e la sicurezza dei suoi amici sarà garantita, allora racconterà le loro vicende per intero.
(Da: YnetNews, Israel HaYom, 16.8.14)

Dalle NEWS di israele.net – 12 agosto 2014: Secondo testimonianze di palestinesi citati da Times of Israel, Hamas avrebbe “giustiziato” decine di palestinesi, che erano stati pagati per scavare i tunnel verso Israele, al minimo sospetto che potessero rivelare agli israeliani la posizione dei tunnel e dei loro sbocchi.
FONTE (19 agosto 2014) www.israele.net

lunedì 11 agosto 2014

L'inganno di Almalaurea

MESSAGGIO PER STUDENTI UNIVERSITARI E NEO-LAUREATI: INTERROGAZIONE SU "ALMALAUREA"
 Il Parlamento è chiuso e ho finalmente tempo di lavorare su alcune segnalazioni che mi arrivano dalla rete. Su suggerimento di uno studente (Dario) mi sono occupato del Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea, formato da 65 università italiane e dal Ministero dell’Istruzione. Io mi occupo di esteri ma ci ho lavorato a stretto contatto con Giuseppe Vacca, deputato M5S in commissione cultura e istruzione.
AlmaLaurea si occupa dell’Anagrafe Nazionale degli Studenti e dei Laureati delle Università. Gestisce una banca dati che contiene l’80% dei curricula dei laureati italiani.
AlmaLauea (da statuto) è un ente senza scopo di lucro che, oltre a gestire l’anagrafe, ha come finalità quella di favorire l’occupazione dei neolaureati.
Tra l’altro lo Stato (ossia noi) lo finanzia attraverso un contributo annuale di qualche milione di euro (non sono riuscito a reperire il dato esatto ma lo chiederemo al Ministro).

Tutto apparentemente bellissimo.
AlmaLaurea avrà certamente sostenuto i neo-laureati alla ricerca di un lavoro ma approfondendo la questione (grazie ancora Dario) ho scoperto che AlmaLaurea nel 2005 ha dato vita ad una società a responsabilità limitata che offre un servizio di consultazione della banca dati dei laureati alle imprese interessate. Un servizio gratuito? Assolutamente no! Le imprese devono sottoscrivere un abbonamento che va dai 600 ai 3.200 euro più iva all’anno grazie al quale scaricare un certo numero di curricula.
Se fosse una società privata ad offrire un servizio simile nessuno direbbe niente ma in questo caso stiamo parlando di un consorzio che prende soldi pubblici, che non dovrebbe perseguire scopi di lucro, dove i consorziati sono le Università stesse (che poi, come ci hanno segnalato, addirittura richiedono ai laureandi, prima di discutere la tesi, di compilare il proprio curriculum vitae sul sito Almalaurea).
In un momento drammatico dal PDV occupazionale le imprese possono pagare secondo voi fino a 3200 euro più IVA per trovare giovani da assumere? Stiamo parlando delle imprese italiane, le più tassate d'Europa.
Per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro la consultazione della banca dati dovrebbe essere gratuita.
Inoltre ho scoperto che il Presidente di AlmaLaurea e della S.r.l. è Fabio Alberto Roversi Monaco, ex rettore dell’Università di Bologna, già membro del c.d.a. di Telecom Italia Media e di Alleanza Toro S.p.A., ed ora anche Presidente della Banca IMI (la banca d'affari del Gruppo Intesa Sanpaolo).
Roversi Monaco ha fatto parte della loggia massonica bolognese Zamboni-De Rolandis (che è la continuazione della loggia P21, diramazione periferica della P2 a Bologna) e risulta aver avuto un coinvolgimento nelle inchieste sulle logge massoniche per aver violato la legge contro le associazioni segrete (quella approvata dal Parlamento nel 1982 per sciogliere la P2 di Licio Gelli).
L’interrogazione parlamentare è un atto di sindacato ispettivo e (giustamente) non permette di interrogare il Governo sugli esiti di un procedimento giudiziario passato. Certo è che la stampa potrebbe/dovrebbe occuparsi del caso perché la trasparenza è un valore ancor di più per i giovani. AlmaLaurea deve essere trasparente e tutti gli studenti devono conoscerne le modalità lavorative i curricula di chi la gestisce. Il futuro è loro. Abbiamo fatto diverse domande al Ministro e vi terremo aggiornati!
P.S. Per qualche giorno starò fuori dal mondo. Devo staccare completamente.

domenica 10 agosto 2014

La satira di Seyed Ibrahim Nabavi

Spostare gli israeliani in Iran
 
Visto che il presidente iraniano ha avanzato la proposta di trasportare gli ebrei in Germania o in Austria, e siccome pare che gli europei non abbiano a disposizione spazio sufficiente per ospitare i 6 milioni di persone che vivono oggi in Israele, mi sento di suggerire un’alternativa: spostare la popolazione ebraica sistemandola in Iran, cosicché il governo israeliano possa costruire un suo Stato indipendente nella provincia iraniana di Isfahan. Ho mille buone ragioni che potranno convincervi della validità di questa iniziativa, e spero che vengano prese seriamente in considerazione.

1. Il governo iraniano ha a cuore la Palestina come nessun altro Stato al mondo. Perfino i palestinesi stessi non si preoccupano di risolvere la questione israelo-palestinese quanto se ne preoccupano gli iraniani. Ed è esattamente per questa nostra solidarietà che spendiamo all’incirca il 30% del nostro budget annuale per aiutare Palestina, Libano, Siria e altri paesi, di modo che possano continuare a combattere Israele. Se gli ebrei venissero a stare in Iran, il costo della vita sarebbe di gran lunga inferiore a quello che paghiamo ora per distruggere Israele. Potremmo cedere agli ebrei israeliani alcune zone della provincia di Isfahan, dove peraltro è vissuta una comunità ebraica per migliaia di anni, in modo tale che lì possano vivere felici e contenti.

2. Come dicevo, ogni anno spendiamo miliardi di dollari in armamenti e spese militari per prepararci a distruggere Israele. Perfino la nostra animosità nei confronti degli Stati Uniti ha come origine Israele. Ospitare in Iran gli ebrei d’Israele risolverebbe anche il più grande grattacapo della nostra politica estera. Se dovessimo realizzare questo progetto, allora i palestinesi, i libanesi, ma anche la popolazione musulmana più in generale, ci sarebbero riconoscenti del fatto che gli abbiamo restituito la Palestina. Anche i nostri rapporti con l’Europa e gli Stati Uniti migliorerebbero. E, infine, non dovremmo più temere Israele, perché a quel punto gli israeliani sarebbero nostri connazionali.

3. Al momento, Israele conta circa 6.2 milioni di abitanti, un numero che equivale a un terzo degli abitanti di Teheran. Quindi non ci creerebbe alcun disagio sommare alla nostra popolazione quella di Israele. C’è un fatto da tener presente: anche se l’Iran attualmente ha 73 milioni di abitanti, il Ministero dell’interno ha reso noto di aver emesso 90 milioni di carte d’identità! Perciò, nei nostri calcoli e censimenti, c’è già una differenza di 30 milioni. Se così stanno le cose, aggiungerne altri 6 non inciderebbe granché sul conteggio totale. E inoltre questi cittadini acquisiti non influenzerebbero più di tanto i risultati dei nostri processi elettorali, perché se 30 milioni di voti mancanti non hanno rilevanza, non è un azzardo ipotizzare che 6 milioni di voti aggiunti non farebbero una gran differenza sul voto.

4. Sappiamo che gli immigrati iraniani in Israele costituiscono un’importante comunità. Quindi, se gli ebrei israeliani dovessero venire in Iran, quei nostri ebrei sarebbero un ottimo tramite con gli israeliani e anche i nostri rapporti sarebbero migliori. Inoltre, l’attuale presidente di Israele, Moshe Ghasab (ghasab in persiano significa macellaio), è nato in Iran e potrebbe conservare la sua carica una volta trasferitosi da noi. Attuare questo piano, cioè accogliere Israele in Iran, non solo metterebbe fine una volta per tutte alle nostre incomprensioni, ma permetterebbe a molti ebrei iraniani sparsi in Europa e negli Stati Uniti di tornare in tutta sicurezza in Iran. Questo poi farebbe entrare nelle casse dell’Iran una gran quantità di denaro fresco, e gli imprenditori ebrei potrebbero tuffarsi in ogni genere di affare senza la paura di essere tassati o di subire qualche altro tipo di controllo fiscale.

5. Oltre agli iraniani, credo che l’unico popolo ad avere altrettanti contrasti con gli arabi siano gli ebrei di Israele, e su questo punto iraniani e israeliani la pensano allo stesso modo. D’altro canto, gli iraniani non ce l’hanno con gli ebrei, ma con lo Stato di Israele. Quindi, se Israele fosse parte integrante dell’Iran, il problema sarebbe facilmente risolto. E se ciò si verificasse, allora con l’aiuto dei nostri amici ebrei potremmo perfino combattere i nostri nemici storici, ovvero gli arabi.

6. Spostare Israele in Iran è una mossa approvata sia dagli Hezbollah e dai moralisti dottrinari iraniani, sia dai moralisti e dagli ideologi israeliani. Infatti, l’unico altro popolo, oltre al nostro, che è particolarmente sensibile alle questioni morali, al velo,1 alla lotta alla corruzione e a tutto il resto, è quello degli ebrei conservatori di Israele. Sono convinto che, se dovessero unirsi a noi, gli ebrei israeliani non avrebbero nulla in contrario al velo obbligatorio, al divieto di bere alcolici e alle restrizioni morali che sono d’uso corrente nella Repubblica Islamica. L’unico inconveniente che potrebbe verificarsi riguarda, ovviamente, l’eventualità che i fondamentalisti israeliani e iraniani uniscano le loro forze ed esercitino pressioni sugli iraniani laici e moderati.

7. Da un punto di vista storico, gli ebrei hanno vissuto più a lungo in Iran che a Gerusalemme. Quindi c’è anche una solida ragione storica alla base di questo spostamento.

8. Uno dei punti su cui gli ebrei sono più sensibili è la moschea al-Aqsa.2 Dal momento che le città iraniane sono piene di moschee al-Aqsa – in effetti ce n’è una ogni metro quadrato in tutte le città dell’Iran – potremmo regalargliene qualcuna mettendo così la parola fine anche a questo problema.

9. Uno dei maggiori inconvenienti cui Israele deve far fronte è la scarsità di territorio. Al contrario, l’Iran ha grande abbondanza di spazio. Mettiamola in questi termini: il nostro è un paese molto vasto con zone disabitate. Per rendere questa migrazione definitiva, potremmo usare il denaro che i due governi spendono per combattersi, per acquistare enormi quantità di terreno fra le città di Isfahan e Yazd e far così insediare i 6 milioni di ebrei in quelle terre. Et voila!

10. Credo che questa mossa possa avere un effetto positivo anche su gran parte delle difficoltà che affliggono il Medio Oriente e il mondo più in generale. Se, tuttavia, continuassimo ad avere complicazioni perfino dopo aver realizzato quest’idea, o se dovessero nascere delle difficoltà che al momento sono imprevedibili, potremmo pur sempre combatterci dentro casa. Una guerra a così poca distanza è più conveniente sia per loro che per noi, perché non avremmo più bisogno di armi nucleari né di missili a lunga gittata. Potremmo dar vita a una battaglia fatta solo con l’artiglieria e i carri armati, riducendo così le nostre spese militari. E una guerra di questo tipo, poi, non metterebbe in ansia nessun altro paese.
Traduzione di Valerio Fabbri

1 Qui e nella riga successiva l’autore si serve della parola hijab, che è comunemente usata, da musulmani e non, per indicare il velo-copricapo. Tuttavia nella scolastica islamica il termine assume un senso più ampio e indica un modo di vestire morigerato e pudico. Nel Corano infatti si parla di “mettere i hijalabib – plurale di hijab – stretti intorno a loro (quando escono)” (Versi 33:59).
2 La Moschea al-Aqsa, che significa “la più lontana”, è parte di un complesso di edifici religiosi conosciuto come Monte Majed o al-Haram al-Sharif (Santuario Nobile) o  Spianata delle Moschee. Situata sul territorio conteso di Gerusalemme-Est, è stata rinominata la “moschea dell’Intifada” dopo che Sharon la visitò nel settembre del 2000 e provocò l’inizio di una nuova battaglia. Costruita nel 711 d.C., la Moschea al-Aqsa è il terzo luogo sacro dell’Islam dopo le due moschee sacre in Arabia Saudita. Gli ebrei vorrebbero costruire su quel territorio il Tempio Sacro Ebraico. L’autore si riferisce al fatto che a Teheran ci sono molte piazze chiamate Qods, che in persiano significa “Gerusalemme”, e dunque si riferiscono alla città santa. In mezzo a tali piazze ci sono monumenti inneggianti alla moschea di al-Aqsa; Nabavi dunque ironizza dicendo che in questo modo gli israeliani che visitano l’Iran non soffriranno di nostalgia [N.d.T.].

mercoledì 6 agosto 2014

Cosa penso di questa guerra...

Con stima e rispetto per quanto ha scritto, posto qui la riflessione di una cittadina israeliana che ho avuto l'opportunità e il piacere di conoscere per caso qualche mese fa, quando si chiacchierava di ben altro... (ma già sapete cosa ne penso delle coincidenze: nella vita nulla capita per caso!)


Tisha BeAv 5774-2014

Carissimi amici,

come certo molti di voi sapranno, da circa un mese stiamo subendo una sanguinosa guerra che sembra prendere proporzioni sempre più tragiche.

Vorrei inviarvi la mia testimonianza di cittadina israeliana e condividere con voi le mie riflessioni su quanto sta accadendo.

Stiamo vivendo un incubo

Vivo in Israele da molti anni. Questa è già la terza guerra che subisco e, a sentire coloro che son nati qui, la più tremenda che ricordino.

Da circa un mese noi cittadini israeliani ci ritroviamo a vivere sotto una pioggia continua di razzi. Se non avessimo avuto il sistema antimissile Iron Dome che li fa esplodere in aria prima che si schiantino a terra (almeno il 30% di essi), a quest'ora con oltre 2000 razzi piovuti su Israele, avremmo avuto migliaia di morti...

Ogni volta che suona l'allarme dobbiamo cercare di proteggerci. Noi non abbiamo un rifugio antimissile, ci rifugiamo dunque nel corridoio di casa. I nostri vicini, con i loro bimbi, vengono anch'essi a rifugiarsi da noi. La mia piccola Esther è molto agitata, dice di sentire sempre boom... boom... difficile tranquillizzare i piccoli in questi momenti.

Sono momenti terribili, che non dimenticheremo per il resto dei nostri giorni.

Anche se vittime non ce ne sono quasi state, tuttavia questo continuo lancio di razzi contro la popolazione indifesa è un vero incubo, una tortura psicologica che è impossibile immaginare. Ogni missile in arrivo mette la popolazione in fuga, gettando tutti nel panico, o nello sgomento, o comunque in un pessimo stato mentale. Umanamente non è facile gestire una situazione di questo tipo, non è possibile continuare a vivere così...

Nel video qui sotto potete vedere la mia piccola bambina sorpresa mentre gioca con i playmobil... i pupazzi dicono:

"Adesso ci sono dei Boom! vieni, andiamo a nasconderci! Adesso ci sediamo tutti… Io sono fuori! non preoccupatevi! Siamo venuti a visitarvi! Lo sai che c’erano dei Boom? " e corrono a rifugiarsi tutti dentro la casa, lei li mette a sedere sul pavimento così come facciamo noi quando c'è l'allarme di caduta missili nel nostro circondario...
https://www.youtube.com/watch?v=MncDfgzjJSE

Ogni cittadino israeliano ha un membro della propria famiglia che combatte a Gaza. Chi ha il proprio figlio, chi il marito, chi il fratello, chi il nipote. Anche noi. Intorno a me vedo tutta l'angoscia delle mamme israeliane che hanno il proprio figlio a Gaza e che da 30 giorni non dormono più... Oltre 60 le famiglie in lutto... madri che seppelliscono i propri figli.

Da dove abitiamo noi, su un'altura che si apre sulla spianata aperta del paese, si odono le esplosioni sia di missili che degli attacchi di Tzhal sulla striscia di Gaza. Per giorni e giorni, non esagero: ogni due secondi, ogni secondo d'orologio per tutta la notte un Boom... alcuni talmente potenti da far tremare i vetri della nostra casa... se sono così forti a tanta distanza, cosa sarà udirli da vicino?? Non posso che pensare in che angoscia si trovino gli israeliani al confine e gli abitanti di Gaza in questi momenti... senza contare che sono al buio, senza elettricità, e dunque senza cellulari né mezzi di comunicazione...

 Oltre ai morti, i gravi danni psicologici che questa guerra sta causando alla popolazione israeliana e palestinese sono incalcolabili.

Cosa penso di questa guerra...

Non credo nella guerra. Non credo in questa guerra.

La guerra è il più alto grado di follia umana.

Morirò forse come un'illusa, come un'ingenua, come un'idealista... ma non mi arrenderò mai al dogma imperante in questo momento, ossia che la guerra sia inevitabile e che non esista alcun'altra soluzione possibile...

Nessuna guerra è giusta, nessuna guerra è santa, nessuna guerra è necessaria, nessuna guerra è risolutiva, non ci sono buoni contro cattivi ma solo uomini ciechi...

uomini ciechi e guide cieche...

In una guerra non ci sono vincitori né eroi da venerare, ma solo vittime.

Vittime sono i civili inermi, i bambini innocenti, i giovani israeliani (ragazzini di 18-20 anni) richiamati dall'esercito e costretti a uccidere dietro gli ordini dei comandanti, mettendo a rischio la propria vita.

Noi cittadini israeliani e palestinesi, subiamo entrambi una manipolazione mediatica da parte dei nostri governanti. Da una parte Hamas incita i palestinesi ad immolarsi come martiri della guerra santa contro il nemico sionista. Dall'altra il governo israeliano chiede sacrifici necessari per la difesa dello Stato ebraico. Da entrambe le parti vengono chieste vite umane da immolare sull'altare della propria causa politica ed ideologica, con slogan emotivi come “resistenza all'occupazione”, “diritto di difendersi”...

Il grande alleato di Hamas è la disperazione...

Il grande alleato della guerra a Gaza è la paura...

Su disperazione e paura i governanti costruiscono il loro consenso nazionale.

Ma proseguire su questa strada, significa soltanto amplificare l'odio, inasprire la violenza e, con la tecnologia avanzata e i potenti ordigni a disposizione, potremmo ritrovarci presto ad un punto di non-ritorno.

Il governo israeliano ci “rassicura” dicendoci di aver sacrificato 62 giovani soldati per compiere l'operazione di distruzione dei tunnel del terrore. La prossima guerra, invece che dai tunnel sottoterra, verremo attaccati dall'alto con aerei e droni...

Se non risolviamo le ragioni del conflitto alla radice, ciò che ci aspetta è solo distruzione e morte.

Nel buio tunnel del terrore e della morte ci stiamo precipitando tutti.


Guerra: industria bellica sottomessa alle leggi di mercato

E poi c'è l'ipocrisia mediatica...

diciamolo francamente: dei palestinesi NON FREGA NIENTE A NESSUNO, a cominciare dai finti pacifisti e i pro-pal che li strumentalizzano per difendere le proprie cause politiche.

Io sionista, invece, desidero dal più profondo del mio cuore che i palestinesi abbiano una vita felice, rispettabile e degna di essere vissuta e proprio per questo considero tutti i sostenitori del regime dittatoriale e terroristico di Hamas come complici della loro sofferenza...

In effetti, il più grande scandalo in tutta questa faccenda è la complicità internazionale nell'armamento di Hamas: degli aiuti umanitari di miliardi e miliardi di euro stanziati dalla comunità europea, nessuno si è preso la briga di controllare se andavano a destinazione? se il popolo palestinese usufruiva di questi aiuti? nessun controllo per verificare che questi somme da capogiro -soldi dei lavoratori europei- fossero realmente impiegate nella costruzione di case, ospedali, scuole, strade? com'è possibile che nessuno si sia accorto che questi stanziamenti venivano letteralmente rubati alla popolazione ed impiegati da Hamas per costruire un immenso arsenale di guerra e una città sotterranea per i suoi adepti (senza dimenticare le gigantesche ville con piscina e il lussuoso tenore di vita dei suoi capi)?

Miliardi di aiuti umanitari investiti nell'armamento (ogni missile kassam costa circa 10.000 euro, e ogni tunnel è costato intorno ai 2-4 milioni di euro).

La guerra è una grande menzogna che viene giustificata dalla manipolazione ideologica... ma in realtà le motivazioni ideologiche servono solo a mascherare e legittimare un'immensa quantità d'interessi.

Non dobbiamo dimenticare che ci troviamo in un momento di grave crisi economica e anche l'INDUSTRIA BELLICA deve produrre e vendere i suoi prodotti. Per mantenere viva questa prolifica industria bellica, chi ha interesse che questo conflitto finisca davvero?

Come ogni industria che si rispetti, anche quella bellica è sottomessa alle LEGGI DI MERCATO: se nessuno acquista i suoi prodotti, tutta l'industria va a picco... fallirebbero grandi imprenditori, verrebbero chiuse fabbriche, decina di migliaia di persone si troverebbero senza lavoro, ecc...

Poiché in Europa e in America, B"H, guerre non ce ne sono più, è fondamentale che i conflitti in medio-oriente non si spengano, altrimenti l'industria bellica perderebbe i suoi più grossi clienti!!

Dopo gli U.S.A., l'Italia è la prima fornitrice di armi a Israele per un fatturato annuo di centinaia di milioni di euro, seguono Francia, Germania ed Inghilterra... E quegli stessi paesi concludono un fatturato annuo di miliardi in armi vendute al Qatar che finanzia, a sua volta, Hamas e la jihad armata.


I miti in frantumi

Un aspetto positivo della guerra – se qualcosa di positivo possa esserci nella guerra – è che, oltre a distruggere case e città, essa distrugge anche tutti i nostri punti di riferimento.

La guerra manda in frantumi tutte le nostre certezze e credenze.

In questi giorni anche per me sono crollati tanti falsi miti e idoli.

Molti ebrei cercano nei testi della Bibbia i versetti che parlano delle guerre d'Israele per trovare giustificazione a questa guerra in atto; dall'altra parte i musulmani jihadisti estrapolano dal Corano tutti quei versetti che legittimano la loro guerra santa contro l'Occidente laico...

Senza il vaglio freddo della ragione, le religioni diventano solo prigioni ideologiche in preda a strumentalizzazioni di ogni sorta.

In questi giorni in Israele, in qualunque conversazione in merito a quello che stiamo vivendo, vengono fuori espressioni del tipo "è segno che sta arrivando il Messia!", "quello che stiamo attraversando sono le doglie del Messia!", "che il Messia venga presto!". Ora la storia del nostro popolo ci insegna che ad ogni persecuzione o catastrofe nazionale subita, il popolo ebraico ha letto le proprie sofferenze come il segno della venuta imminente del Messia. Ed ogni volta abbiamo atteso invano.

Credo, invece, che il Messia verrà proprio e solo quando NOI avremo risolto i nostri problemi.

Non dobbiamo aspettare qualcuno che risolva i problemi che noi esseri umani abbiamo creato... il Messia verrà quando saremo stati in grado di risolverli da soli...


NON ALIMENTARE L'ODIO

Faccio una richiesta accorata a tutti i miei contatti, a tutti i pro-Israele e ai pro-palestinesi: forse siete abituati alle partite di calcio, dove si tifa per una squadra sola e si schifa l'altra.

Ma qui non si tratta di una partita di calcio, non dovete schierarvi per una delle due squadre! Evitate di fare - come molti utenti web - i guerrafondai seduti alle comode poltrone della vostra casa dinanzi al televisore o alla tastiera del vostro computer con la pancia piena!

Vogliamo dare un efficace contributo per porre fine a questa tragedia? smettiamo tutti di ALIMENTARE L'ODIO da qualunque parte provenga. Ogni goccia d'odio in più è come benzina che attizza il grande fuoco divoratore che sta divampando nel mondo.

Grazie

Come sempre, sono benvenute le vostre riflessioni.

Con amore, vostra Shazarahel