giovedì 19 novembre 2015

Impariamo da Israele

di Umberto Minopoli

Una cosa mi ha sempre colpito: come fa Israele - piccolissima e circondata da nemici, odiata dal fondamentalismo islamico, perennemente minacciata di distruzione dal terrorismo, piena di nemici interni che studiano ogni possibile strada per colpire civili israeliani - a sopravvivere, a non crollare dalla paura?

Come fanno i suoi cittadini - persone normali, civili, con un lavoro, una professione, dei divertimenti, ristoranti, bar, spiagge, viaggi - a non deprimersi nella paura? A non terrorizzarsi? A continuare a vivere in modo normale?

Perché, si dice, è uno Stato di polizia? Ma quando mai. Camminate per le strade di Tel Aviv o di Gerusalemme e ditemi se quello è uno Stato di polizia.

Perché si dice, ancora, Israele è una società omogenea: tutti ebrei. Ma quando mai? E' un'altra fesseria. Non c'è niente di meno omogeneo demograficamente di Israele. Non c'è niente di più multiculturale con popoli e abitudini di tutto il mondo che convivono. E, soprattutto, con due milione di arabi islamici che vivono in Israele su 8 milioni di abitanti. Applicate la stessa proporzione numerica ai nostri paesi e vedete che viene fuori.

Israele è uno dei pochissimi posti al mondo in cui il turismo è praticamente sicuro. Paradossale se guardiamo la mappa geografica. Ma, allora, cosa consente a Israele di vivere civilmente, di non sfilacciarsi e in apparente normalità nonostante le minacce e il terrorismo? Cosa consente in Israele questa assenza di psicosi, di nervosismo distruttivo, di paralisi civile, di psicopatologie del terrore?

Dovremmo vedere file di israeliani che scappano da un paese circondato da eserciti nemici e minacciato di distruzione da ogni parte. E invece: in Israele gli ebrei affluiscono, gli aerei volano e il turismo non muore. Perché? Perché questa sensazione di sicurezza che limita sempre i danni del terrorismo e mantiene la fiducia della popolazione? E una serenità maggiore di quella di Parigi o Londra?

Due cose, io penso.
Primo: in Israele i nostri dibattiti ridicoli su guerra e pace, scontri di civiltà, religione e terrorismo e bla bla bla, non hanno senso. A loro è chiaro che occorre difendersi dal terrorismo anche combattendo le sue idee. E non cedendo sui valori, sulla propria cultura, stile di vita, costumi. Le chiamerei "tecniche di uso efficace dell'orgoglio".
Secondo: Israele è una società civile, democratica e moderna che è costruita sulla sicurezza e sull'intelligence. Che governa, senza invadenza, ogni luogo: spiagge, mercati, ristoranti, ai bar, luoghi divertimento. Le chiamerei tecniche di "razionalizzazione della rabbia".

Noi, certamente, siamo molto più grandi di Israele. E non potremmo permetterci i sistemi di sicurezza diffusi e non invasivi (metal detector, guardie, sistemi di allarme ecc.) che garantiscono una certa tranquillità ai cittadini Israeliani. Ma potremmo imparare molto. Copiarli in molti casi. E poi Israele si difende con leggi e procedure civili. In Israele non è consentito scrivere, aizzare, predicare l'uccisione degli ebrei. Non è consentita dalla legge la propaganda del terrorismo omicida. E nemmeno suicida. Il suo ambiente e i suoi familiari potrebbero perdere dei diritti se solidali col suicida.

Insomma Israele prende assai sul serio la sicurezza e meno la nenia fumosa, prevalente da noi: l'Islam è cattivo o è buono? I terroristi sono veri islamici o no? E nel frattempo si muore. Anche di chiacchiere. Io, fossi ministro, una cosa farei: corsi di formazione ai nostri decision makers sulla sicurezza in Israele.

Nessun commento:

Posta un commento